Visita a «Il Maggiore», il Centro eventi multifunzionale di Verbania. Ma, nel 2007, il concorso che laureò il gruppo vincitore “Stones”, guidato da Salvador Perez Arroyo, era per un’altra area…
VERBANIA (VCO). Avete letto bene; nessun refuso nel titolo. I quattro grandi ovoidi più o meno sghembi sono l’elemento distintivo del CEM (Centro eventi multifunzionale, ribattezzato «Il Maggiore»), il teatro e polo culturale con servizi che sorge in riva al lago omonimo, terminato circa un anno fa.
Un progetto nel tritacarne
Giungendo dalla città, fingendo di dimenticarsi dell’antistante parcheggio asfaltato delimitato dai soliti inguardabili “panettoni” prefabbricati di cemento, l’impatto è gradevole. Poi, avvicinandosi, si scorgono dettagli dozzinali e finiture approssimative. D’altronde, come opera pubblica il progetto è passato nel tritacarne dell’appalto integrato. In un fuorionda, il capofila degli stones designers, il madrileno Salvador Perez Arroyo, si diceva già contento che i sassi non si fossero metamorfizzati in cubi…
Memoria corta
E poi in Italia abbiamo la memoria corta. Così, pochi ricordano (a scala sovralocale, lo ha fatto Edilizia e territorio) che il concorso internazionale bandito dal Comune nel 2007 riguardava un teatro in piazza Fratelli Bandiera, nel centro storico. Poi, nei cambi d’amministrazione, il programma è stato “stornato” in riva al lago – potenziandolo con spazi polifunzionali per mostre e altre attività culturali – su un’area riqualificata negli anni novanta con un parco urbano e un’arena all’aperto, demolita per lasciar posto al nuovo intervento. È stato così redatto un nuovo progetto che non ha mantenuto nulla dell’originario (cfr. il video), se non i morfemi organicisti, ora esaltati nei quattro “sassi”. (Intanto, per la riqualificazione di piazza Fratelli Bandiera, nel 2015 un nuovo concorso – per ora senza seguito – ha visto la vittoria di un gruppo guidato dallo studio associato IGES).
Grandi firme
Tornando ai “sassi”, d’altronde, nel folto raggruppamento temporaneo vincitore del concorso lasciato nel cassetto – composto tra gli altri da quotati studi nazionali come i romani Bargone Associati e i cremonesi Bianchini & Lusiardi – figura il britannico Peter Cook, che in quanto a volumi bloboidali se ne intende, dopo aver fatto atterrare a Graz (nel 2003 con Colin Fournier) il “Friendly Alien” della sua Kunsthaus. Anche il progetto esecutivo vanta firme architettoniche di una certa notorietà: Fabrizio Bianchetti, professionista locale di peso con studio nella dirimpettaia Omegna, vincitore di alcuni concorsi tra cui quelli per la conversione dell’ex palaghiaccio di Champoluc (Aosta) in Spa – Monterosa terme e, lì nei pressi, per un parcheggio multipiano dalle aspirazioni green; Giancarlo Marzorati, tra i principali artefici della trasformazione postindustriale di Sesto San Giovanni nel segno della quantità e, in particolare, del dimenticabile intervento nell’area ex Campari in collaborazione con Mario Botta.
Sotto il vestito niente?
Le accattivanti forme dei “sassi” ben s’inseriscono, a livello cromatico e dimensionale, nel paesaggio lacustre da cartolina. L’aura s’incrina quando si scopre che i grandi involucri in zinco titanio sono indipendenti dai retrostanti volumi, formati da setti verticali in cemento armato impostati su pianta curvilinea. Inoltre, osservando le planimetrie si percepisce la dicotomia tra i perimetri e la partizione interna degli spazi, che risponde invece a mere logiche di ortogonalità.
Entrando nel teatro, si nota lo scarto maggiore tra volontà di forma complessiva e configurazione degli interni. La distribuzione relega alla marginalità gli ambiti di servizio, dall’ingresso e biglietteria alle zone di disimpegno dei corpi scala, esaltando invece i vastissimi spazi del foyer (forse eccessivo, ricorda un’anonima sala dei passi perduti dal difficile utilizzo) e della sala principale: spazi multifunzionali e flessibili che, attraverso piattaforme e partizioni mobili, permettono svariate configurazioni (tra cui quella a sala unica in grado di accogliere fino a 900 persone). Foyer e sala (con ampio palcoscenico e fossa orchestrale) sono contenuti all’interno di un volume parallelepipedo dissimulato verso la città grazie ai “sassi”, il quale si rivela invece verso la nuova arena all’aperto – dal disegno paesaggistico – e il lago attraverso la grande parete vetrata panoramica. Tale volume, sospeso, schiude al livello terra uno spazio coperto che, non valorizzato, pare di risulta. E se dal lago l’innesto tra il prisma vetrato e i “sassi” è tutt’altro che risolto, lo spazio ricavato sulla sovrastante terrazza riscatta in parte la composizione.
La sfida
Ora, dopo l’iniziale ondata di entusiasmo (e al di là delle critiche mosse da alcuni addetti ai lavori circa la distribuzione e la logistica in funzione degli allestimenti scenici), si prospettano le non facili sfide della gestione economica e di una programmazione culturale all’altezza per una città che non vanta grandi tradizioni teatrali e operistiche. In altre parole, «Il Maggiore» saprà farsi vero polo culturale attrattivo a scala territoriale o resterà un mero gesto plastico nel paesaggio verbano?
progetto ideativo, preliminare e definitivo: r.t.p. “Stones” (Salvador Perez Arroyo – capogruppo -, Studio Bargone, Peter Chester Cook, ing. Massimo Mariani, Enrico Auletta, Bianchini e Lusiardi Associati, ing. Alessandro Sandelewski, Garcia – BBM, Anelinda Di Muzio, Flavia Brenci)
progetto esecutivo: Giancarlo Marzorati, Fabrizio Bianchetti, Tekser srl – ing. Guido Davoglio, ing. Stefano Rossi, geol. Fulvio Epifani
direzione lavori: Studio Amati, Erre:Vi.A. srl, Marcello Lezzi
responsabile del procedimento: ing. Noemi Comola
realizzazione: Notarimpresa spa (Novara), CDL srl (Villadossola – VCO), Tecnocostruzioni srl (Verbania)
Cronologia
progetto definitivo: 2011
cantiere: 2012-2015
inaugurazione: giugno 2016
Costo: 18 milioni di euro
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concorsi , rigenerazione urbana
Last modified: 9 Febbraio 2017