I rappresentanti degli ingegneri s’inseriscono nel dibattito sulla ricostruzione post sismica, ragionando sulla sicurezza dei siti e, per il consolidamento, sull’individuazione di strumenti di defiscalizzazione
Il dibattito scatenato dal terremoto di Amatrice e del Centro Italia ha visto schierate diverse opinioni e competenze. Nel mio ruolo di ingegnere strutturista voglio portare un piccolo contributo, senza invadere il campo né dei politici – ai quali spetta la decisione se ha senso investire su un territorio che negli ultimi anni ha visto un calo drammatico della popolazione ed in che modo vadano destinati risorse ed incentivi economici per tale ricostruzione – né agli urbanisti ed architetti, ai quali invece spetta la decisione difficile ed importantissima se ricostruire “dov’era com’era”, ovvero pianificare la costruzione/ricostruzione delle città in maniera diversa, rivolta principalmente agli effettivi utilizzi e bisogni attuali oltre che a poter ambire ad un progressivo aumento della popolazione residente.
Dal punto di vista ingegneristico, il problema si pone principalmente sull’analisi a posteriori degli effetti del fenomeno sismico sul patrimonio edilizio. Se la gran parte degli edifici è diventata inagibile a seguito del terremoto, bisogna innanzitutto capire se la posizione attuale sia particolarmente vulnerabile dal punto di vista idrogeologico, ad esempio in vicinanza ad una faglia sconosciuta prima d’ora e, nel caso fosse questa la causa principale, non ha nessun senso logico – dal punto di vista ingegneristico – andarsi a porre nella medesima situazione di vulnerabilità e rischio, pur ricostruendo in maniera antisismica. Quindi, in presenza di rischio idrogeologico ed in presenza di città in forte decremento di abitanti, bisognerebbe assolutamente evitare la ricostruzione “dov’era com’era” e trovare invece una nuova collocazione più sicura e meno vulnerabile insieme ad una nuova concezione di città che possa invogliare anche la popolazione più giovane ad abitarla.
Se invece i danneggiamenti del sisma hanno coinvolto solo una parte degli edifici esistenti e non si è evidenziata una particolare predisposizione o vulnerabiltà idrogeologica, allora ha effettivamente senso che gli urbanisti ed architetti si confrontino su una ricostruzione più vicina al “dov’era com’era”, lasciando agli ingegneri il compito del consolidamento e del miglioramento di quanto è rimasto in piedi.
Il consolidamento del patrimonio edilizio italiano nei confronti della vulnerabilità sismica è da parecchi anni una priorità su tutto il territorio nazionale, ma l’ingegneria italiana ha oggi le conoscenze e le tecniche adeguate per poterlo attuare. È fondamentale tuttavia che politici ed urbanisti decidano gli strumenti opportuni perché ciò possa avvenire.
Non è pensabile che lo Stato si assuma questo onere in una situazione di deficit come quella vissuta dall’Italia, ma è invece possibile individuare strumenti di defiscalizzazione che portino i privati, a cui appartiene il 90% del patrimonio edilizio esistente, verso un percorso virtuoso, come ad esempio avvenuto per la riqualificazione energetica degli edifici, che renda conveniente e indispensabile – dal punto di vista delle proprietà – la messa in sicurezza sismica degli edifici in Italia nei prossimi 30 anni.
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terremoto , territorio fragile
Last modified: 24 Gennaio 2017