Una mostra sull’opera di Frei Otto con un allestimento capace di restituire la sperimentalità di una ricerca che ha costituito una traiettoria pressoché unica nel mondo del progetto novecentesco
KARLSRUHE (GERMANIA). Una gigantesca proiezione mediatecnologica, sospesa nelle navate dello ZKM – centro di ricerca su media art- interpreta l’idea di architettura in impianto immateriale, audiovisivo e sensoriale, esplorando attraverso il lavoro di Frei Otto (1925-2015) le esperienze e intuizioni cognitive che si addensano nel modello come continua fonte di autoanalisi e autogenerarsi della sperimentazione nelle abilità tecniche, artigianali, artistiche, multimediali.
Multivisione che si espande nella configurazione dell’allestimento della mostra “Denken in Modellen” (fino al 12 marzo 2017): un organismo pluricellulare rarefatto in una costellazione di tavoli, scaffalature, lampade, sostenuta da un intrico di cavi che esaltano le altezze e le estensioni della struttura edilizia puntiforme che accoglie lo ZKM, una delle più grandi costruzioni industriali della Germania alle soglie della modernità, progettata da Philip Jakob Manz durante la prima guerra mondiale come fabbrica di armi e munizioni, oggi patrimonio storico. L’allestimento – curato da Georg Vrachliotis, con Sabiha Keyif per lo ZKM e coprodotto dal SAAI (Südwestdeutsches Archiv für Architektur und Ingenieurbau) del KIT (Karlsruhe Institute of Technology) e dalla Fondazione Wüstenrot – minimale e spartano, attinge a un glossario limitato di display che agisce per sovrapposizione di luoghi semantici: studio-esposizione/lavoro-processualità. Pensare in modelli è la costante che salda indagine-verifica-lavoro, oggetto mostrato-allestimento, tradotti nell’atmosfera di un vero laboratorio open source extraterrestre, in perfetta sintonia con la missione dello ZKM, dove esporre-ricerca-archivio sono vissuti come unità magmatica d’idee. Con il passo rallentato dallo zigzagare tra la stratificazione di piani e micro-racconti, l’osservatore-cosmonauta approda alla galassia dei modelli: oltre 200 pezzi, tra modelli, utensili e prototipi, galleggiano su un enorme piano metallico di grigliato nero, reso invisibile dalla scia dei neon che lasciano lo sguardo libero di addentrarsi nell’universo cognitivo di Otto.
Il suo lavoro, insignito del Premio Pritzker 2015 – in concomitanza alla sua scomparsa – è messo in scena come l’elaborazione del desiderio collettivo di una società aperta, che prende corpo a partire dalla giovanissima Germania Federale degli anni ’50. Otto contrappone all’ideale dell’eternità, della monumentalità, della rappresentazione, moduli e aggregazioni formali che ingaggiano la temporalità e il cangiante nella “membrana” come stabilizzatore di correlazioni tra architettura, ingegneria, fisica, chimica, e la natura nella sua oggettivazione processuale, con la levità dell’artista-scienziato, come appare anche nelle parole pronunciate da Norman Foster per il suo ottantesimo compleanno: “Egli è sempre stato un passo davanti a noi perché il suo infinito amore per il volo ha guidato il suo approccio all’architettura, e perciò tutto il suo vocabolario architettonico è stato ispirato dalla leggerezza“.
Il modello si pone come snodo di arrivo e re-start del disegno. Nel modello conoscenza manuale ed empirica s’integrano alla codificazione di pre-algoritmi architettonici rappresi nella membrana: non un involucro tecnico-strutturale che avvolge un contenuto, piuttosto una pelle-tenda ricettiva che recupera nella parola “pneumatico” l’azione fisico-chimica come principio di vita, di respiro. Dentro i modelli cassa toracica, nervo ottico e sensazione tattile si muovono simultaneamente sollecitandosi reciprocamente nella comprensione della forma, perdendosi nei salti cognitivi di Otto, con la consapevolezza di stare in un’area affollata da molti abitanti. Un’area porosa, dai contorni sfrangiati, senza circuito e con tanti accessi, di cui molti apparentemente casuali. Pensare in modelli diventa una declinazione per chi cerca una guida all’esplorazione della mostra, toccandone i nodi salienti nell’oscillazione modello-modulo che contiene la parola tedesca Model: dalla realtà aumentata, al mistero delle bolle di sapone (guarda il video!), ai rovesciamenti del pieno-vuoto in convessità e concavità, alle proprietà della materia, al transito dell’idea in costruzione, come nel padiglione Tenda a Kassel (1955), fino alla rigenerazione della ricerca, affidata anch’essa al modello come tramite sinergico e reattivo che gli studenti possono toccare con mano. “La gran parte degli architetti pensa o pensava in disegni, poiché oggi essi pensano sui monitor dei computer“, dice Otto alla rivista di architettura “Icon” nel 2005, “io invece cercavo sempre di pensare tridimensionale. L’occhio interiore del mio cervello non dovrebbe essere piatto ma tridimensionale, così che ogni cosa diventa un oggetto nello spazio. Poiché, noi non viviamo in un mondo bidimensionale“.
Foto di copertina: Frei Otto mentre fotografa il modello di progetto per la copertura provvisoria delle tribune per gli impianti natatori olimpici di Monaco di Baviera (1972; © saai | Südwestdeutsches Archiv für Architektur und Ingenieurbau, Karlsruher Institut für Technologie, Werkarchiv Frei Otto)
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allestimenti , mostre
Last modified: 20 Dicembre 2016