Viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio in quel di Arese, tra ciò che resta della fabbrica automobilistica (il museo storico) e il centro commerciale più grande d’Europa
Uno stimato architetto trentino, anni fa, mi confessava di aver capito di essere un poco in là con gli anni quando aveva realizzato che, al suo arrivo a Milano, era stato colpito dalle fiammanti Alfa Romeo che uscivano dal Portello mentre ora – allora invero – doveva constatare che la fabbrica era stata demolita per far posto alla Fiera ed annessi. Non ho modo di comunicargli che anche la Fiera farà posto ad altro ma sono sicuro che, dal suo invidiabile punto di osservazione odierno, si sarà riconosciuto nel mio disagio mentre mi aggiro nelle lande occupate a partire dal 1963 da uno stabilimento capace di dare lavoro a quasi ventimila persone in quel di Arese, alle porte di Milano.
Si rimane attoniti ad osservare la maquette d’epoca dell’insedimento industriale – oltre 2 milioni di mq – inserito in quella che, negli anni ’60 e ’70, era ancora una green belt che cingeva Milano. Certo dall’impatto oggi non accettabile ma figlio di una visione dove produzione, ingegneria ed architettura si univano per permettere la realizzazione di massa di autovetture dall’altissimo contenuto tecnologico e di design (che forse allora non sapeva ancora di esistere). La fabbrica – dismessa nel 2005 – si riconosceva nella “testa” disegnata – fra gli altri progettisti – da Ignazio Gardella, la quale, con un linguaggio seriale e tipologico meravigliosamente attinente al tema, si affermava, quieta e potente, sull’Autostrada dei Laghi. Ora dietro la “testa” non vi è più nulla. Intricate rotonde, nate per Expo e già congestionate, ti dovrebbero far scorrere fra scampoli di campi e monconi di capannoni per portarti al mall, segno di una modernità ancor più vecchia di quella che aveva generato la fabbrica che ha sostituito; mall che ti accoglie banalmente con la sua poetica del legno lamellare atterrato in quei campi lombardi un tempo buoni per le patate.
Dopo anni di discussioni, veti, vincoli e progetti mancati un risultato è stato raggiunto: il Museo storico Alfa Romeo è rimasto negli spazi allora allestiti dai fratelli Vito e Gustavo Latis e la meravigliosa collezione di autovetture d’epoca è di nuovo visibile al pubblico dal giugno 2015, amorevolmente accudita da esperti di primordine. Anche solo la metà dei modelli esposti – comunque parte di una collezione forte di 250 pezzi messi in mostra a rotazione e tematicamente – vale ampiamente il viaggio che i numerosi visitatori intraprendono da ogni dove per venire al Museo: più di centomila nei primi dodici mesi. Purtroppo solo sulle auto bisogna concentrarsi. Nessuna parentela, infatti, fra il concentrato di genialità delle vetture prodotte nel XX secolo dai progettisti e dalle maestranze della casa del biscione e l’attuale allestimento – firmato da Camerana & Partners – , figlio di una visione aziendale partorita lontano da qui. Nonostante il vincolo posto sull’edificio e la collezione, i “pochi” interventi realizzati creano una sorta di ibrido fra vecchio e nuovo, incastrato com’è in un’architettura ancora per buona parte silente e che stravolge l’eredità ricevuta ma non inaugura un nuovo futuro. Un ibrido inquieto che, una volta di più, testimonia l’incapacità del presente di essere all’altezza del nostro passato.
Alessandro Colombo
Ci sono le auto, a migliaia ogni weekend, che congestionano strade di accesso e parcheggi. Ci sono le code, praticamente ad ogni ora, davanti a ristoranti e fast-food della food court. Ci sono i commenti, in gran parte entusiastici, nel passaparola tra i clienti e sui siti (4/5 il voto di tripadvisor, su quasi mille recensioni). E, da metà novembre, c’è anche un premio, di prestigio anche se settoriale, conferitogli dal Mapic di Cannes, la più grande kermesse europea dedicata alla distribuzione e ai centri commerciali: primo posto, ha decretato la giuria, “per l’approccio sostenibile dei materiali, per la semplicità di fruizione, per l’utilizzo della luce naturale e dei fuochi visivi, oltre al grande successo commerciale”.
Eccolo, il centro commerciale di Arese, aperto da aprile 2016, che ha occupato parte dell’enorme area dismessa dell’Alfa Romeo. Luogo strategico per la mobilità regionale, oltre 90.000 mq di superficie, 200 negozi, 25 ristoranti, 6.000 posti auto, l’ipermercato Iper. “Il centro commerciale più grande d’Europa”, è stato detto e scritto. Voluto dall’imprenditore Marco Brunelli, e affidato a firme prestigiose del firmamento del design: Michele De Lucchi, insieme ad Arnaldo Zappa per le soluzioni interne e a Davide Padoa (di Design International, società internazionale di progettazione leader nel retail) per la parte funzionale e commerciale.
Tutti gli elementi per una storia architettonica di successo. Dove però quantità non è necessariamente sinonimo di qualità. I render prefiguravano spazi esterni verdi e densi di funzioni e flussi. L’effetto oggi – quando gli alberi dei parcheggi sono ancora molto, troppo piccoli – è invece quello di una fortezza del consumo. C’è un dentro e un fuori, poca integrazione tra percorsi, parcheggi e ingressi. E non riescono a risultare amichevoli nemmeno i grandi inserti di legno in facciata, più decorativi che capaci di generare identità. Lo stesso materiale, in gran parte prefabbricato e sotto forma di travi lamellari, utilizzato per la copertura, che verso gli ingressi (a sud, dove sono concentrati i parcheggi) si trasforma in importanti aggetti. Scelta interessante, sostenibile, innovativa per tanti versi. Anche se l’effetto risulta, anche coloristicamente, un po’ artificiale. La luce naturale filtra abbondante dalle coperture di vetro, lungo il percorso centrale del mall. Probabilmente non siamo così vicini alle “antiche corti lombarde e alla bellissima Villa Valera”, dichiarate come riferimenti progettuali. Però, effettivamente, i flussi s’incanalano – soprattutto al piano terra – lungo direzioni mai banali e che trovano numerosi elementi nodali: aree verdi con piante vere in vaso, la piazza esagonale della food court (oltre 2.000 mq), un parco giochi, punti di snodo, un po’ pomposamente chiamati piazze.
Un’impostazione planimetrica che sicuramente evita rigidità e simmetrie di tanti spazi commerciali, rompe la sensazione di lunghezza (da est a ovest sono circa 700 metri) e riesce a stimolare la curiosità degli utenti. Che così, impossibilitati a guardare all’esterno per le poche aperture disponibili, si concentrano o sui negozi – arredati con materiali e logiche assolutamente indipendenti – o sul cardo centrale. In questo doppio fronte si ritrovano storie di centinaia di famiglie che decidono di trascorrere qui buona parte delle loro giornate festive: dividendosi tra interessi diversi, ritrovandosi per pranzare. Disposti a percorrere decine di chilometri in auto per ritrovare la sensazione del “passeggio in un centro storico”. Quel centro storico che magari sta a pochi metri da casa e in cui non vanno da anni. Senza scomodare i non-luoghi di augiana memoria, il centro commerciale di Arese ha il merito di ricreare – artificialmente e con fini di business – un mondo, riscuotendo l’applauso del pubblico. Questo è il successo. Forse.
Michele Roda
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Milano , rigenerazione urbana
Last modified: 13 Dicembre 2016