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Alessandro BalducciWritten by: Città e Territorio Forum

Milano ha riscoperto la felicità pubblica

Milano ha riscoperto la felicità pubblica
Alessandro Balducci traccia il bilancio del suo mandato da assessore all’Urbanistica per un anno nella giunta Pisapia, indicando i 3 principali contributi legati alla propria competenza tecnica

 

Sono stato chiamato dal sindaco Giuliano Pisapia a ricoprire il ruolo di assessore all’Urbanistica nel luglio 2015; in un momento molto positivo per Milano: il successo di Expo, la sensazione di una ripresa economica in arrivo, un governo autorevole e aperto nei confronti dell’uso dello spazio urbano, un settore immobiliare meno aggressivo che in passato a causa della crisi. Tutti aspetti che hanno contribuito a farmi vivere questa esperienza come piena di potenzialità.

Naturalmente il fatto di essermi da sempre occupato di urbanistica ha aiutato. Non penso che ruoli politici così importanti debbano sempre essere ricoperti da chi ha competenze tecniche – Milano ha avuto nella storia anche grandi assessori all’urbanistica che non erano tecnici – ma certamente la conoscenza della città e delle sue logiche di trasformazione, di cosa significa qualità dell’ambiente urbano e come s’incroci con problemi di giustizia spaziale, costituisce oggi un bagaglio essenziale, se non direttamente nelle mani del responsabile politico, di chi lo aiuta a prendere decisioni.

Ho realizzato che nell’amministrazione dell’urbanistica di una grande città in salute come Milano gli spazi per incidere ci sono e possono essere praticati. È stato un anno intenso in cui mi sono occupato di molte cose in gran parte impostate da chi mi aveva preceduto. Tuttavia, se dovessi dire quali mi sembrano essere stati i contributi che ho cercato di dare a partire dalla mia competenza tecnica, ritengo di poterne indicare tre, che toccano tre ambiti d’azione diversi.

1. Mi sono reso conto che i problemi della struttura tecnica (una struttura che ho trovato piena di buone risorse) attengono alle nuove condizioni dell’amministrazione dell’urbanistica che hanno spostato dal controllo di conformità alla negoziazione il ruolo delle burocrazie tecniche. La negoziazione richiede di sviluppare competenze molteplici di natura giuridica ed economica, del tutto assenti in passato, che tendono a diventare assolutamente prevalenti rispetto alla valutazione della qualità dei progetti, molto schiacciata dalle procedure. Per questo ho cercato di attribuire alla Commissione del paesaggio un ruolo non solo di valutazione finale del progetto ma anche di pre-valutazione, in modo tale che al giudizio sulla qualità paesaggistica ed architettonica degli interventi venisse riservato lo spazio necessario eventualmente a modificarli e non solo il momento di chiusura del processo. Questa diversa modalità di relazione tra responsabile politico, struttura tecnica e Commissione del paesaggio, che ha funzionato molto bene a Milano, anche grazie alla qualità e alla disponibilità dei componenti della Commissione, credo vada sottolineata.

2. Un secondo aspetto tipico delle modalità correnti di gestione dell’urbanistica in una grande città, è il fatto di agire di rimessa, di reagire alle proposte degli operatori privati, o a un’emergenza, o a un bando che mette a disposizione delle risorse da parte del governo regionale, nazionale od europeo. Questo agire di rimessa ha due effetti negativi: il primo è che l’agenda è costruita da altri, il secondo è che molti temi vengono trascurati perché non hanno operatori o soggetti interessati che li sostengano. Per questo ho cercato di mettere a lavorare un gruppo di persone su un progetto di rigenerazione urbana che fosse deciso dall’Amministrazione, indipendentemente da finanziamenti disponibili, nella convinzione che costruire buoni progetti sia poi in grado di attirare i finanziamenti necessari. Ed è stato così. Anche nel breve spazio di un solo anno il progetto di Porto di Mare ha potuto produrre candidature per bandi nazionali ed europei che in parte hanno già avuto successo. Credo si tratti di un tema di carattere generale che tocca due aspetti contemporaneamente: la ricostruzione di una capacità progettuale nelle strutture comunali e la possibilità d’illuminare parti della città che non hanno interessi mobilitati o mobilitabili.

3. Un terzo tema che ho cercato di affrontare è quello dell’avvio di un processo di collaborazione con i comuni della cintura milanese, per promuovere progetti sulle aree di confine che sono spesso quelle maggiormente degradate della città, in particolare a Milano. Basterebbe un giro sui 180 chilometri del perimetro comunale per capire come questo sia il territorio dell’abbandono e del non luogo. Mi è sembrato questo un primo modo per abbattere le mura invisibili di un confine amministrativo che non ha più senso dal punto di vista del funzionamento della città ma che ancora determina squallore perché considerato terra di nessuno. Lavorare sul confine come hanno fatto altre grandi metropoli europee mi è sembrato anche un modo per dare una prima attuazione concreta alla città metropolitana. Ma su questo importante punto il lavoro era appena iniziato.

È stato un anno di lavoro intenso nel quale ho maturato la convinzione che il tema della qualità urbana ed in particolare del suo spazio pubblico sia rientrato negli interessi di una città che per lungo tempo ha ricercato la qualità prevalentemente nel chiuso dello spazio privato. Mi è sembrato di poter leggere in questa fase l’apertura di un nuovo ciclo che richiama quanto discusso da Albert Hirschman in Felicità pubblica e felicità privata: nel testo si descrive la storia umana come una continua alternanza od oscillazione tra un desiderio di soddisfazione più personale, di arricchimento, di successo individuale, di privatismo, che ad un certo punto trova il suo limite nel desiderio opposto di condivisione, di socialità, d’impegno pubblico.
Credo che a Milano, anche grazie alla guida del sindaco Pisapia, che ha messo al centro del suo governo apertura, legalità e trasparenza, abbiamo attraversato la soglia di questo passaggio, dopo decenni caratterizzati dalla ricerca soprattutto di una felicità privata scopriamo oggi con stupore che i milanesi hanno voglia di ritrovarsi in pubblico. Si tratta di una risorsa importante in una fase come questa che presenta anche tante tendenze regressive.

La considerazione con cui chiudo è che l’architettura e l’urbanistica della città possono aiutare l’emergere di questo desiderio e la politica locale può fare molto per consolidarlo.

 

Immagine di copertina: foto di Davide Maccioni per ACMA

Autore

  • Alessandro Balducci

    Architetto e Dottore di ricerca in Pianificazione Territoriale, professore ordinario di Pianificazione e Politiche Urbane al Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano. Ha insegnato alla Facoltà di Architettura di Pescara, è stato visiting scholar presso l’Università di Berkeley e visiting professor alle Università di Reims, Tongji University, Aalto University, il MIT Cambridge, all’Accademia di Architettura di Mendrisio e alla Zhejiang University in Cina. É stato assessore all’Urbanistica, edilizia privata e agricoltura del Comune di Milano, Prorettore Vicario del Politecnico di Milano, membro fondatore della European Urban Research Association (EURA), presidente dell’Associazione Europea delle Scuole di pianificazione (AESOP), di Urban@it, il Centro Nazionale di Studi per le Politiche Urbane e della Società Italiana degli Urbanisti. Ha coordinato il progetto di interesse nazionale PRIN – Territori post-metropolitani come forme emergenti. Tra i lavori più recenti ha curato, insieme a Louis Albrechts e Jean Hillier, Situated Practices of Strategic Planning (Routledge 2017), insieme a Francesco Curci e Valeria Fedeli, Oltre la Metropoli e Ripensare la questione Urbana (Guerini 2017), con Daniele Chiffi e Francesco Curci, Risk and Resilience (Springer 2020), con Giovanni Azzone e Pier Cesare Secchi Infrastrutture e città (Brioschi 2020).

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Last modified: 7 Dicembre 2016