Palazzo Reale a Milano dedica una mostra al collettivo Studio Azzurro, che ha rivoluzionato gli allestimenti e la percezione dell’arte. Intervista a Fabio Cirifino, uno dei fondatori nel 1982
MILANO. Pensando a Studio Azzurro, è immediato immaginare le parole sperimentazione, arte e tecnologia. Un nome, un colore, richiamo al cielo e al mare, che spesso ritroviamo come presenze nei loro progetti ed esperienze. Identifica l’aria, l’atmosfera che avvolge il loro lavoro e dà forma ad un gruppo aperto, nel tempo, a contributi e collaborazioni. Studio Azzurro è, come loro stessi affermano, un’idea, forse unica nel suo genere.
Palazzo Reale ripropone una parte dell’intenso lavoro e della poetica che ha segnato, dal 1982 ad oggi, il loro processo creativo. Sono stati dei precursori e degli innovatori, lasciando un segno nella storia dell’arte. Quindi la mostra a loro dedicata («Immagini sensibili. Retrospettiva», fino al 4 settembre) non poteva essere una semplice celebrazione. La retrospettiva si trasforma in un’esperienza, passando dalle videoinstallazioni che rappresentano una realtà artefatta con l’intento di provocare nello spettatore emozioni, fino ai più recenti ambienti sensibili che reagiscono alle sollecitazioni dei gesti, in cui la narrazione deriva dalla presenza delle persone e dei loro movimenti, per approdare infine ai musei di narrazione, non più luoghi che conservano oggetti ma spazi interattivi ed emotivamente coinvolgenti per condividere esperienze, ricordi, emozioni. A queste opere se ne aggiunge una nuova, dedicata a Milano («Miracolo a Milano»; nella foto di copertina), appositamente messa a punto per la Sala delle Cariatidi la quale, così, diventa ancora più suggestiva.
Abbiamo incontrato Fabio Cirifino, fondatore nel 1982 di Studio Azzurro con Paolo Rosa (1949-2013) e Leonardo Sangiorgi.
Come nasce il nome Studio Azzurro?
Da pensieri fatti quasi per caso: ognuno diceva la sua…
Che cos’è per te l’azzurro?
Il colore è importante perchè richiama due momenti che sono stati cruciali nel nostro percorso di ricerca e sviluppo: il cielo e il mare. L’orizzonte che divide il cielo e il mare. Ci dava l’idea di un colore che potesse appartenerci.
Rivedendo il vostro percorso possiamo dire che siete stati dirompenti e innovativi? Avete creato un mondo che non esisteva…
Questo mondo sicuramente prima non esisteva. Riguardando la mostra e il suo allestimento devo dire che non volevamo fare una mostra cronologica; tuttavia è stato inevitabile, per poter raccontare ciò che è accaduto. Riprendendo i vecchi lavori ci siamo accorti di alcune “invarianti”: ad esempio la necessità di togliere l’idea del monitor come qualcosa da cui uscisse l’immagine per trasformarlo in finestra, dando a questa finestra la possibilità di moltiplicarsi. La finestra come forma narrativa, cosa che abbiamo sviluppato mettendo i monitor uno accanto all’altro. Questo sicuramente è stato per noi un passaggio determinante. Il nosto primo lavoro è stato un progetto con Memphis: la nostra installazione era una pila di monitor con la quale cercavamo di raffigurare un armadio. Dall’armadio uscivano degli elementi…
Un metarmadio…
Esatto.
Voi avete dovuto in qualche modo sempre forzare la tecnologia, portarla dove vi serviva. Eravate più avanti della tecnologia?
In quel periodo assolutamente sì. Per fare «Il nuotatore», cosa oggi semplicissima, abbiamo noi costruito un oggetto per allineare queste dodici cassette, ve le ricordate? I tre quarti, quelli un po’ professionali, delle sberle così. Ecco, abbiamo dovuto costruire noi, con l’aiuto di un ingegnere, un oggetto che sincronizzasse le dodici cassette, se no il nuotatore non avrebbe potuto esistere. Queste sperimentazioni e il contatto con altra gente che non faceva parte del nostro mondo, ma anche altri artisti, sono stati fondamentali.
Abbiamo visto all’ingresso il lunghissimo e straordinario elenco di persone che sono passate da Studio Azzurro. Non è un caso; non poteva che essere così?
Assolutamente. Infatti, il nostro è un nucleo forte che è rimasto in piedi tutti questi anni per amicizia. Purtroppo oggi Paolo non c’è più ma andremo avanti lo stesso, perchè Studio Azzurro è un’idea. Se tutte queste persone non ci fossero state, se non si fosse creato attorno allo studio un humus che ha dato a tantissima gente la possibilità di collaborare con noi, se non ci fosse stato questo rapporto in cui noi davamo a loro ma loro davano a noi, se non ci fosse stato tutto questo Studio Azzurro sarebbe stato un’altra cosa. Non siamo un singolo ma un collettivo. Certo che il collettivo va gestito…
La prematura scomparsa di Paolo vi ha costretto a cambiare qualcosa…
Ci manca tantissimo. Era una figura di riferimento, comunicava molto bene, era simpatico e poi, dal lato affettivo… io ci ho lavorato insieme dal 1970. Con lui in corso Garibaldi abbiamo occupato San Carpoforo: 1975, 76, 77…
Tornando a oggi, è contento che la tecnologia, in qualche modo, vi rubi il mestiere?
Non è che ci rubi il mestiere, anzi noi nei nostri lavori abbiamo sempre cercato di farla scomparire. La tecnologia ci ha aiutato tantissimo a sviluppare dei progetti, però non è che la esaltiamo o che non la prendiamo in considerazione. Devo dire che oggi queste tecnologie ci portano in un vicolo cieco. È talmente facile produrre e catturare immagini, al punto che poi si dimenticano. Sono troppe. Una volta c’era un impegno diverso. C’era un rullino, questo rullino aveva 35 o 36 foto, bisognava stare attenti a scattare per non sprecarle, poi le dovevi sviluppare. C’era una cura diversa e quello che facevi, rimaneva. Sicuramente. Adesso c’è una massa di dati dietro di te. Purtroppo si è persa quell’attenzione, un tempo, una cura.
È troppo facile produrre un’immagine?
Sono convinto che per fare delle buone cose ci vuole il tempo. Se questo viene annullato dalla possibilità di fare qualcosa molto velocemente, troppo velocemente, c’è qualcosa che non va. Il risultato magari è bellissimo, fantastico, però non ti lascia niente.
Studio Azzurro come guarderà al futuro dei suoi progetti?
Riguardando il nostro lavoro il primo periodo era fondato sul rapporto immagini, suono, spazio. Per i primi dieci anni abbiamo lavorato su quella progettazione. Poi siamo passati a capire che il pubblico poteva intervenire in questo spazio, poteva interagire con le immagini e con i suoni. Poi la cosa si è spostata in uno spazio un po’ più ampio. Questo lavoro che abbiamo iniziato ormai quindici anni fa sul Mediterraneo e che ancora continua, è proprio un incontro con altre realtà che tu accresci e sviluppi. Con questo lavoro e con Miracolo a Milano il nostro lavoro non si limita più ad un ambiente sensibilie ma si allarga, ci mette a confronto con realtà che dobbiamo considerare. Il nostro futuro sarà in questa direzione. Stiamo progettando un nuovo lavoro in Turchia, sempre Mediterraneo, e poi andremo avanti con questi portatori di storia. Come anche continueremo il lavoro nei musei.
Il tuo progetto preferito?
Sicuramente il lavoro sul Mediterraneo, che ci ha portato a conoscere nuove realtà e a comunicarle agli altri. Un lavoro che riteniamo utile, importante. «Il nuotatore» è bello, però attorno al 2010 ci siamo posti il problema di arrivare all’utile. Dovresti riuscire a fare qualcosa che rispecchi la tua dimensione artistica e la unisca con qualcosa d’importante.
Qualcosa che lasci un segno?
Anche «Il nuotatore» lascia un segno, anche se è diverso. Stiamo vivendo un periodo che, in qualche modo dovrà subire dei cambiamenti per ritrovare un nuovo equilibrio, se no è la fine. Siamo partiti con le occupazioni in quegli anni, abbiamo creato forse il primo piccolo centro sociale. San Carpoforo si chiamava fabbrica di comunicazione: abbiamo fatto concerti, spettacoli teatrali, ospitato Eugenio Barba con l’Odin Teatre…
Se non avessi fatto Studio Azzurro, che cosa avresti fatto?
Studio Azzurro ancora… Io parto dallo studio Ballo come formazione, poi mi sono staccato dopo sei anni di lavoro. Probabilmente la fotografia è ciò che mi ha sempre riguardato da vicino. La fotografia intesa non come uso della macchina fotografica ma in senso trasversale. Per dire qualcosa che non c’entra niente, il concetto d’immagine coordinata può dare un’idea di cosa può essere Studio Azzurro.
Se la Milano di quegli anni ha permesso la nascita di tante cose fra cui voi, la Milano di oggi, secondo te, cosa può produrre?
Vedo amici che insegnano alle accademie, tra le più disparate, e hanno delle grossisime difficoltà a farlo. Entrare in una dimensione nella quale si riesca a comunicare a questi giovani certe cose della vita è difficile. Questa è la condizione generale e i giovani la stanno subendo: è il problema del futuro.
Cerchiamo d’insegnare delle cose, ma non siamo così convinti che ci sia un futuro dove poi farle… Non ti sembra?
Il discorso diventa difficile. I nostri governi non capiscono che gli investimenti nella cultura e nella didattica sono determinanti.
Forse non è neanche un problema d’investimenti, sembra che i giovani siano privi d’interesse, vogliono essere imboccati… Come vedi la situazione?
Siamo disponibilissimi ad imboccarli, ma se non c’è attorno a loro una condizione fertile si può ottenere poco. Io credo che l’attenzione delle istituzioni sia importante, anche se tutti possiamo fare qualcosa. Noi, ad esempio, abbiamo uno spazio di 250 mq chiamato “area di ricerca progressiva”: sino ad ottobre, ospitiamo le opere dei giovani che hanno collaborato con noi in questi 35 anni, la cui esperienza ora riportano in studio. Sono presenti tredici in tutto, tra cui N!03, Giuseppe Baresi, Scarzella. Oltre a questo portiamo avanti il nostro lavoro con una struttura di sedici persone, anche se non è facile.
Studio Azzurro continua così a guardare al futuro.
Chi è Fabio Cirifino
Nato a Milano nel 1949, si forma come fotografo nello studio di Aldo Ballo. Dopo otto anni di collaborazione, nel 1972 avvia un proprio studio fotografico e nel 1978 fonda lo Studio Azzurro Fotografia assieme a sei ex assistenti di Ballo. In questi anni sviluppa la sua attività nel campo della fotografia d’architettura e di design e di documentazione artistica collaborando con importanti riviste di settore come Domus, Gran Bazar, Interni. Nel 1982 è tra i promotori dello Studio Azzurro Produzioni dove sviluppa la propria professionalità occupandosi della creazione di immagini e della direzione della fotografia per le videoambientazioni, le produzioni video e le produzioni cinematografiche.
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Last modified: 1 Luglio 2016