La parabola di un tassello del centro direzionale progettato dal gruppo di Cesare Ligini nel 1960 (da sede del Ministero delle Finanze fino all’abbandono e al rischio demolizione) prende la direzione di un recupero come quartier generale di Telecom Italia
Il passato. Tra modularità e verticalità
È la tipologia del moderno complesso per uffici quella che Cesare Ligini – insieme a Vittorio Cafiero, Guido Marinucci e Renato Venturi – mette in campo per un intervento che ambiva ad essere un’icona per tutta la capitale, nei mesi che precedevano le Olimpiadi del 1960. Il tema viene interpretato proponendo, su un’area di oltre 15.000 mq lungo via Cristoforo Colombo, un articolato e asimmetrico impianto con uno zoccolo di due livelli che collega cinque diversi edifici, di cui tre torri alte 17 piani. In totale, quasi 50.000 mq di superfici interne destinate ad uffici ministeriali. Alla scala urbana e del paesaggio l’intervento si distingue per la verticalità (quando il complesso viene terminato, nel 1961, le torri sono ancora rare nel panorama capitolino) e per la loro essenza di volumi «chiari, stereometricamente esatti, straordinariamente emotivi», come scritto dallo stesso Ligini. Un risultato che affonda le sue radici nel dettaglio, con la definizione in fase di progetto di un modulo (1,35 m) da applicare a tutte le misure, strutturali e architettoniche. In questo senso, il progetto interpreta un passaggio per certi versi epocale: la facciata, che nelle prime ipotesi riconduceva a materiali e forme di un’edilizia tradizionale, guarda sempre più all’edilizia industrializzata e alla produzione in serie, trasformandosi di fatto in un moderno curtain wall. La velocità del cantiere è l’aspetto più eclatante del nuovo modo razionale di concepire la costruzione: le torri crescono rapide (solo 18 mesi per raggiungere il tetto, grazie all’impiego di travi a spessore di solaio e di casseforme metalliche per il getto dei setti) e, prive di ponteggi esterni, mettono in mostra la loro essenza costruttiva.
Il presente. Uno scheletro vuoto
Quell’essenza costruttiva che, per uno strano gioco del destino, è sopravvissuta fino ad oggi. Perché la storia di questo complesso è un processo di progressivo svuotamento, fisico e funzionale. Ormai abbandonato dagli uffici del Ministero delle Finanze, e di proprietà pubblica, alla fine del secolo scorso si pensa di trasformarlo in un albergo per il vicino centro congressi. Qualche anno e si cambia idea, con il coinvolgimento del Comune nel progetto «Campidoglio due». Dopo un altro cambio di proprietà (Fintecna, in una cordata mista pubblico-privato), nel 2007 vengono avviati lavori di manutenzione straordinaria, con lo smontaggio degli infissi e la demolizione delle pareti interne. È proprio in questo periodo che – nonostante il complesso fosse entrato a far parte della Carta per la qualità – viene proposta al consiglio comunale di Roma una variante urbanistica per permettere la demolizione delle torri, condizione per realizzare una “scatola di cristallo” progettata da RPBW. Ne scaturirono un dibattito intenso e uno scontro acceso, negli stessi mesi in cui veniva cancellata un’altra opera di Ligini, il velodromo costruito proprio per le Olimpiadi del 1960 e demolito nel 2008 dopo 40 anni di abbandono. L’ipotesi estrema viene bocciata ma permane uno stato d’indecisione sul futuro uso che porta ad interrompere i lavori lasciando in dote un enorme scheletro vuoto, tanto evidente da meritarsi il soprannome di Beirut. Una situazione che, seppure in minima parte, è già cambiata. In attesa del cantiere vero e proprio, è stata realizzata una prima operazione, d’immagine: le torri sono state ricoperte con pannelli colorati che vorrebbero simboleggiare il futuro diverso e ritrovato.
Il futuro. Un riuso che parte dalla facciata
Il progetto è frutto di un concorso bandito lo scorso anno per il restauro conservativo del complesso come nuovo quartier generale di Telecom Italia. La competizione è stata vinta da un articolato team di progettisti guidato da UNO-A Architetti Associati. Proprio il modulo originario di Ligini è il loro punto di partenza; essi dichiarano la volontà di «interpretare il tema del modulo in chiave contemporanea, sulla base della ripetizione di misure variabili derivate dal modulo originale, rispettose dell’allineamento dei setti portanti ma allo stesso tempo capaci di generare facciate climaticamente performanti e compositivamente dinamiche e interni adatti agli usi contemporanei». L’ambizione è stabilire un nesso tra storia e attualità della facciata. La quale, negli anni sessanta, era pensata come emblema di un certo modo – moderno e innovativo – d’interpretare la costruzione. E che invece, 65 anni più tardi, è intesa come un fattore attivo, al servizio dei nuovi modi d’uso degli spazi lavorativi: giustapposta alle solette esistenti è dotata di un forte spessore, variabile a seconda degli affacci e funzionale a ottenere le performance climatiche e a riqualificare l’edificio in termini di sostenibilità e comfort. Emerge quindi un doppio livello di approfondimento: da una parte la facciata proposta riprende la ripetizione seriale degli elementi e l’evidenza del loro assemblaggio. Ma al tempo stesso conferisce un nuovo significato architettonico grazie al rivestimento in travertino (da una cava poco lontana) e ai serramenti accostati, con un nuovo ritmo variabile, con una soluzione che lo stesso Ligini aveva peraltro ipotizzato. A questo si aggiunge, come secondo caposaldo concettuale, la ricerca di elementi di una sostenibilità che prova ad andare oltre il fatto di natura meramente tecnica o normativa. Le prestazioni energetiche o la certificazione LEED rientrano in un approccio più ampio che vede nel complesso di TIM (accoglierà circa 5.000 lavoratori) un elemento di miglioramento locale dell’ambiente urbanizzato dell’EUR. Fattore che scaturisce appunto dal rapporto – più libero e contemporaneo ma non meno rigoroso – con la modularità degli edifici più alti, diventando la condizione per ridefinire equilibri e gerarchie urbane. Le tre torri ristrutturate “finiscono” nette, grazie a un ultimo piano di servizio che accoglie e nasconde tutte le attrezzature tecnologiche, non configurandosi quindi come coronamento ma estendendo potenzialmente la facciata verso il cielo quasi a ribadire una stereometria architettonica senza inizio e senza fine. Così è il grande basamento a recuperare una nuova identità, una sua dimensione vegetale di suolo ritrovato, poroso ma anche in grado di recuperare una dimensione pubblica in relazione con la città. È questo l’elemento capace di organizzare e strutturare – con minime modifiche al progetto originale – i volumi stessi che da esso si originano e che condensa i percorsi all’interno del complesso. Ribadendo quanto scritto nel 1958 da Bruno Zevi, secondo cui l’originalità del progetto sta nella sua capacità d’indirizzare «la direttrice stradale che punta su una spaccatura, su un vuoto che è il fulcro ideale dei tre grattacieli».
Chi sono i progettisti
Siamo nell’EUR fase 2 quando il commissario straordinario Virgilio Testa chiama un gruppo di quattro architetti, colto e ben inserito nel panorama professionale romano, per la progettazione di quelle che sarebbero diventate le torri dell’EUR. Nato nel 1913, Cesare Ligini, razionalista con vasta esperienza in fiere e un’ormai affermata dimensione internazionale, è il più noto e colui al quale unanimemente viene riconosciuta la paternità dell’opera. Insieme a lui lavorano Vittorio Cafiero, di 12 anni più giovane, prima futurista e poi razionalista, attivo negli stessi mesi insieme ad Adalberto Libera e a Luigi Moretti al progetto per il villaggio olimpico. Sono invece più giovani Guido Marinucci e Renato Venturi, che fanno parte dell’ufficio tecnico dell’Ente EUR.
A margine, si segnala la mostra “VISIONARIA: frammenti e visioni nell’opera dell’architetto Cesare Ligini”: un itinerario cronologico e tematico che ripercorre, attraverso dipinti e disegni mai mostrati al pubblico e facenti parte della collezione privata di famiglia, l’evoluzione di un inedito Ligini pittore (a cura di Paola Valori, presso il MICRO Arti visive nello Spazio Porta Mazzini a Roma, dal 3 al 10 giugno; le opere sono in vendita e il ricavato verrà devoluto alla casa di accoglienza per ragazzi Associazione PRIMIPASSI ONLUS e alla Fondazione Samuel & Barbara Sternberg – ONLUS per la cura e ricerca dei tumori). A seguire, presso il MAXXI Base, il 14 giugno alle ore 18 è in programma il convegno “Cesare Ligini architetto”, a cura dell’Associazione Michele Valori, durante il quale sarà presentato il volume omonimo a cura di Valeria Lupo (Prospettive Edizioni 2014), frutto dell’inventariazione dell’archivio professionale di Ligini, oggi donato all’Archivio di Stato di Roma.
Il concorso per il recupero
Bandito da Alfiere spa (società mista formata da, a pari quote, Cassa depositi e prestiti e da Telecom Italia), ha visto a luglio chiudersi la fase di prequalifica con l’invito a sei studi: Onsitestudio, Piuarch, PARK Associati, SCAPE Architecture, BiCuadro Architetti e UNO-A Architetti Associati. A settembre quest’ultimo (fondato a Milano nel 2006 da Luca Piraino e Chiara Tardini) si è aggiudicato il primo premio giudando un gruppo composto da Sonia Calzoni e Bruno Egger Mazzoleni architetti associati (progetto architettonico), Paolo Bodega (consulenza bioclimatica), Emanuele Naboni (sostenibilità), Studio Iorio srl (strutture) e General Planning srl (impianti, antincendio, computi). Il lotto d’intervento sorge nel cuore dell’EUR, sul lato settentrionale del laghetto artificiale, e delimitato da via Cristoforo Colombo, viale America, viale Boston e viale Europa. La superficie complessiva è di circa 15.500 mq. La superficie lorda complessiva degli edifici è di oltre 60.000 mq fuori terra e oltre 20.000 interrati. Il complesso è formato da sei corpi di fabbrica: tre torri di 17 piani, due edifici in linea di quattro piani con affaccio ripettivamente su viale Boston e via Colombo, oltre ad un edificio più piccolo di due piani fuori terra che funge da collegamento. I diversi corpi di fabbrica insistono su un basamento comune costituito da un doppio livello interrato. Il costo dell’intervento è di circa 100 milioni, con inizio lavori previsto nel 2017.
L’installazione artistica
Non solo rinnovati landmark architettonici dell’EUR. Nel periodo del cantiere, le torri di Ligini si propongono come una sorta di “specchio magico”, attraverso un’installazione artistica firmata da Matteo Cibic. Le facciate sono state rivestite con un materiale metallizzato che definisce una nuova superficie high-tech, suddivisa in macro-pixel in gradazioni diverse di argento e azzurro. Una nuova immagine estetica cangiante che riflette e ingloba il paesaggio urbano e dà origine a variazioni di apparenza e colore a seconda della posizione, dell’ora del giorno e delle condizioni atmosferiche. Di notte sulle torri appare un segno grafico luminoso, realizzato dall’artista con led, che riverbera la scritta TIM, rimandando al marchio che dovrebbe significare il recupero degli edifici stessi.
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concorsi , restauro , Ri_visitati , rigenerazione urbana , roma
Last modified: 3 Giugno 2016