Fino al 27 novembre a Palazzo Franchetti la Fondazione Berengo presenta la prima retrospettiva sull’architetta anglo-irachena recentemente scomparsa
VENEZIA. In un’intervista del 2011 con Hans Ulrich Obrist, co-direttore della Serpentine Gallery, Zaha Hadid (1950-2016) affermava: “Senza ricerca e sperimentazione non molto può essere scoperto. Si sperimenta pensando di andare verso una direzione e si scopre qualcos’altro. Questa la parte interessante. Si scopre molto di più di quanto non si pensi inizialmente. Non ci dovrebbe essere fine alla sperimentazione“.
La mostra ospitata dalla Fondazione Berengo a Palazzo Franchetti sul Canal Grande intende mettere in luce questa grande energia spesa da Hadid nella ricerca e sperimentazione.
La retrospettiva è particolarmente convincente nelle prime due sale, dove sono esposti i lavori fondamentali per la ricerca dell’architetta recentemente scomparsa. Una ricerca pionieristica con una vita dedicata all’architettura. Emozionante la prima sala, ove i dipinti ricordano gli esordi di Hadid. La sperimentazione della composizione basata su frammentazione, sovrapposizione e porosità, con l’attenzione verso l’avanguardia russa. La sperimentazione attraverso dipinti, disegni, plastici. Hadid affermava che l’utilizzo di dipinti e disegni nei suoi primi progetti fu fondamentale per sperimentare proprio la distorsione e la frammentazione, e gli stessi influenzarono il risultato dei suoi lavori. Troviamo “Malevich’s Tektonic” (1976-77), il progetto del ponte sul Tamigi al quarto anno all’Architectural Association School a Londra. Ed ancora il progetto vincitore del concorso Peak Club a Hong Kong (1982-83), non costruito, così come il progetto di Hafenstrasse ad Amburgo (1989); Grand Buildings a Trafalgar Square, Londra (1985); Victoria City masterplan per Berlino (1988) e la Cardiff Bay Opera House (1994-95).
Dalla rassegna degli edifici non costruiti troviamo conferma della determinazione di questa grande protagonista, che proseguì tenacemente il proprio percorso nonostante i mancati riconoscimenti degli anni ’90. Sono poi presenti tre importanti progetti per la sua carriera: il primo progetto completato nel 1993, la stazione dei vigili del fuoco Vitra a Weil am Rhein (Germania); a seguire il Centro per l’arte contemporanea di Cincinnati, completato nel 2003 e che contribuì all’assegnazione del Premio Pritzker nel 2004; infine il Museo nazionale delle arti del XXI secolo, il MAXXI a Roma, completato nel 2009.
Sono presenti i progetti più recenti, in cui è evidente la sperimentazione sempre più legata all’utilizzo di software parametrici. Ne fa parte CODE, la ricerca multidisciplinare con architetti, ingegneri e aziende per l’utilizzo di strumenti digitali che si conferma come strumento di sperimentazione contemporanea. In mostra anche i plastici utilizzati come strumento di progettazione, partendo dai primi progetti sino ai più recenti lavori.
Nell’interessante videointervista Hadid si racconta sorridente, ricordando come sin da bambina dimostrasse il suo carattere determinato. Mi concedo un ricordo personale, quando a Londra durante un incontro di progettazione per il masterplan di CityLife a Milano, Hadid dimostrò la sua inesauribile forza sperimentale proponendo temi progettuali aperti alla discussione ed alla riformulazione. A testimoniare che ogni progetto è una buona occasione per stimolare la propria creatività e spingersi oltre quanto già si conosce.
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Last modified: 31 Maggio 2016
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