Prima parte di un viaggio nel paese ai margini della “primavera araba” che sta vivendo un boom economico. Ma non è tutto oro quel che luccica…
Il Nordafrica della “primavera araba” sembra aver dimenticato il paese più ad ovest, il Marocco. L’egemonia del re Mohammed VI non è mai stata così forte come ai giorni nostri: amato, visto come un riformatore, sotto di lui il Marocco ha conosciuto un nuovo sviluppo. Stanno nascendo dalle banche alle autostrade; il paese sta conoscendo un fenomeno simile ai nostri anni del boom economico, anche se il suo sviluppo è intriso di contraddizioni sociali e tutto sommato non ha generato un terziario e una classe media solidi.
Progetti internazionali e archistar
Rabat è la capitale amministrativa, il centro di diversi bureau d’etude, i cosiddetti studi d’ingegneria. È qui che nel 2010 Zaha Hadid Architects aveva vinto – precedendo OMA – il concorso per il nuovo teatro dell’opera, il Grand Théatre de Rabat. Con i suoi 27.000 mq lungo il fiume Bou Regreg risulta il progetto africano più ambizioso e, sebbene a rilento, l’investimento ha visto il lancio ufficiale del cantiere, avvenuto da parte del re con la costituzione dell’Agence pour l’aménagement de la Vallée du Bouregreg, il 7 ottobre 2014. Diversi gli italiani coinvolti (almeno in fase preliminare di studio attraverso Bodino Engineering), ma a quanto pare l’insicurezza generata dai mancati investimenti sul territorio sembra persistere, o quanto meno sta prolungando ad libitum il progetto che, comunque, a livello di masterplan ideale cresce comprendendo case di abitazione, un porto fluviale intermedio e uno alla foce, oltre a una serie di grossi centri residenziali, ma in buona sostanza vuol essere il volano economico per investimenti comunque interrotti dalla globale crisi del 2009 e dall’attentato al Cafè de Paris a Marrakech nell’anno seguente.
I progetti internazionali oggi si rincorrono, tutti per ora senza un seguito: il distretto finanziario di Casablanca (Morphosis); la stazione di Kenitrà (Silvio d’Ascia); il Museo nazionale di archeologia (archi5 e OMA). I francesi sembrano invece avere il piglio concreto della situazione, come confermano la moschea Hassan II a Casablanca (Michel Pinseau), l’edificio di Maroc Telecom a Rabat (Jean-Paul Viguier Architecture) o la stazione di testa di Casablanca (Arep).
Foster & Partners pioniere
Norman Foster è stato il primo delle archistar ad atterrare in Marocco con un progetto realizzato, dietro al quale se ne celava uno molto più ambizioso che ad oggi ha visto il completamento di una sola branch dei flagship della Banque marocaine du commerce exterieur (BMCE) a Rabat. La sede della banca in questione vede inglobati tutti i principi dell’eco-design dello studio inglese, come ad esempio i disegni dei pannelli in acciaio inossidabile esterni con l’insolito (per Foster & Partners) pattern ispirato alle musharabie e gli interni in tadelakt e zelige della tradizione marocchina. Inoltre la cupola richiama tutti gli interventi che la BMCE ha effettuato nelle scuole marocchine per il loro risanamento, richiamando così figurativamente l’intento filantropico d’origine. Oltre alla sede principale di Rabat lo studio britannico ha dato vita ad un’altra sola realizzazione, l’interior, sempre per BMCE di una piccola filiale a Marrakech, poi il fermo dal 2011 (oggi esistono per loro progetti in altri paesi africani come Kenya o Egitto).
La vivacità di Marrakech
La nuova architettura di Marrakech è viva, attraverso investimenti, prima francesi, poi della casa reale e, dal 2000, anche inglesi. La città si è arricchita di diverse opere di valore, sebbene poche di carattere pubblico. Tuttavia, il rallentamento per la “primavera araba” e per i collassi bancari del 2009 ha prodotto una “stabilizzazione” delle posizioni che sembravano in divenire (ad esempio nel numero degli architetti esteri impegnati in studi locali o nel fallimento delle agence d’investissement per lo più situate a Casablanca).
La Palmeraie, il quartiere delle palme e delle ville, è ancora vivo d’iniziative. Le ville si costruiscono per investimento, alcune sono progettate per diventare maison d’hôte, ovvero ville in affitto a più clienti, con centri benessere interni. Altre come l’Île blanche di Imaad Rahmouni (archistar algerina dell’interior parigino prima degli anni marocchini) sono investimenti francesi visti in una prospettiva di monetizzazione dopo pochi anni di usufrutto. L’Île blanche sembra un po’ il manifesto di questi anni; una sorta di tentativo, riuscito, di esportare Le Corbusier, e forse anche Etienne-Louis Boullée, in un clima tropicale e festaiolo come la Marrakech francese del Pacha [dal Pacha Group di Ibiza, la nota società legata alle discoteche; n.d.a.] e di David Guetta. La villa, costata un milione di euro (in Europa avrebbe un valore di costruzione circa triplo), è ancora in vendita su un sito marocchino ad un milione e mezzo di euro dopo che il proprietario ha deciso di rientrare dalla spesa. L’esecuzione mostra i chiari limiti delle imprese marocchine, con l’arco centrale la cui freccia si abbassa inesorabilmente rovinando l’idea del disegno originario della terrazza ponte sul corpo del salone.
Palais Namaskar è forse l’edificio di cui è più difficile ricostruire la committenza e il finanziamento, forse proveniente dall’Africa stessa o quantomeno crocevia d’interessi diversi. L’edificio ha uno stile improprio, non definibile, marocchino e francece nell’impianto con ampi colonnati e bacini, a metà fra Versailles e i giardini dell’Agdal, ma poi sembra sterzare nei decori richiamando l’India con i colonnati prefabbricati in cemento e le cupole d’oro. Qui Rahmouni ha eseguito le ultime ville à louer molto moderne, minimali e non troppo in linea con l’architettura dei corpi principali. Nel 2008 lo studio di Rahmouni ha vinto il concorso per un grosso complesso nell’area centrale di Mansour Palace, abbandonato poi per il mancato sblocco dei fondi da parte delle banche francesi. (segue)
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