Dopo un tormentato restauro, con l’apertura di altre 7 sale, prosegue il progetto di definitivo allestimento della Grandi Gallerie dell’Accademia, a firma di Tobia Scarpa
VENEZIA. È un cammino scandito da progressive tappe quello che condurrà al definitivo allestimento delle Grandi Gallerie dell’Accademia. Il 18 dicembre 2013, dopo un tormentato iter di lavori durati 8 anni e un investimento da parte del Mibact di oltre 26 milioni, s’inaugurava il piano terreno nell’ex complesso di Santa Maria della Carità, oggetto di un intervento di restauro e adeguamento funzionale recante la firma di Tobia Scarpa con la supervisione dell’allora soprintendente Renata Codello. Un raddoppio degli spazi espositivi per un totale di 12.000 mq. A maggio 2015, in virtù del finanziamento da parte di Venetian Heritage e Samsung, aprivano al pubblico 5 sale dedicate al Seicento e Settecento mentre poco dopo, la “Città irreale” di Mario Merz inaugurava gli spazi riservati alle esposizioni temporanee dove a marzo arriverà “Aldo Manuzio. Il rinascimento di Venezia”.
Dal 29 gennaio un ulteriore passo si è aggiunto in questa progressione allestitiva (grazie all’investimento di Venice in Peril Fund e Venice Foundation) su progetto scientifico di Giulio Manieri Elia e Roberta Battaglia con la neodirettrice Paola Marini. Nell’ala palladiana, altre 7 sale (incluso il loggiato affacciantesi sul cortile interno) ribadiscono la ragione primigenia delle Gallerie, il cui nucleo collezionistico nacque in seno all’attività didattica dell’Accademia delle belle arti. Lungo il loggiato i gessi del Canova (tra cui i calchi dei due leoni per il monumento a Clemente XIII Rezzonico in San Pietro) ritmano lo spazio; incedendo s’incontrano la pittura veneziana del Settecento (i Ricci, Rosalba Carriera, Francesco Guardi, Bernardo Bellotto), les pièces de réception “presentate dai pittori quale saggio della loro abilità al momento del loro ingresso nell’istituzione accademica”, bozzetti canoviani in gesso e terracotta ricollocati in un’originale teca di Carlo Scarpa, l’illustre allievo Francesco Hayez e Giovanni De Min, i saggi scultorei ottocenteschi di Luigi Borro all’interno d’un vestibolo che precede il tablino palladiano dove troneggia la restaurata cattedra in stile impero di Leopoldo Cicognara, presidente dell’Accademia dal 1808 al 1826.
Ora al completamento del tutto mancano, sempre al piano terreno, i saloni Selva-Lazzari e i cantieri per il restauro del piano nobile (di cui è previsto l’avvio entro il 2016).
Ad attendere Paola Marini, insediatasi ad inizio dicembre, ci sarà inoltre la sfida dell’autonomia gestionale sancita dalla recente riforma ministeriale. Una strada caratterizzata da obiettivi primari che la direttrice ha ben chiari come ha lei stessa ribadito durante il discorso inaugurale alla presenza del ministro per i Beni e le attività culturali Dario Franceschini: la necessità di un programma cadenzato per le proposte espositive temporanee e la costituzione di un comitato scientifico “atto al funzionamento pulsante del museo-faro della pittura veneziana per accompagnarlo verso i traguardi che lo attendono”. Perché, secondo quanto dichiarato dal ministro Franceschini, se la battaglia della tutela del patrimonio può considerarsi vinta dal punto di vista normativo, rimane ancora da vincere quella sul piano della valorizzazione.
Il commento di Gabriele Toneguzzi
Volendo solo rimanere sul piano dell’affluenza visitatori in città, la vicina Fondazione Guggenheim di Ca’ Venier dei Leoni nel 2014 ha attirato circa 400.000 visitatori contro i poco più di 255.000 totalizzati dalle Gallerie dell’Accademia. Qui la minor attrattività, peraltro cresciuta di gran lunga dopo i lavori (289.323 ingressi nel 2015), non è certo un problema di qualità o quantità dei capolavori ospitati. La situazione è spia d’altre esigenze: non si tratta d’imbastire tornei per inanellare pacchetti di visitatori; più prosaicamente, le istituzioni culturali, in particolare nel nostro Paese, hanno la necessità di rinnovarsi profondamente offrendo strumenti interpretativi che guardino oltre la mera lettura canonica, suggerendo molteplici visioni, trasformando il visitatore da utente passivo del Verbo disciplinare a soggetto attivo. Come opportunamente afferma Giuliano Volpe, presidente del Consiglio superiore Beni culturali e paesaggistici del Mibact, “la comunicazione non andrebbe intesa come una sorta di concessione paternalista fatta dalle vestali della cultura al volgo“. Forse solo così si potranno accrescere naturalmente e in maniera duratura le quote di pubblico che musei come questo meritano.
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Last modified: 1 Febbraio 2016