A Taormina, una vicenda che si protrae dal 1981: a lavori conclusi Palazzo Ciampoli ospita una mostra temporanea, ma non è stato realizzato il museo etnoantropologico (nel Messinese ce ne sono circa 60) e i locali torneranno vuoti (con l’impianto di condizionamento domestico)
TAORMINA (MESSINA). Si ponga il caso di un restauro impegnativo, in termini sia di lavori complessi che si protraggono per decenni, sia di risorse finanziarie impiegate, ma che poi finisce per non riconsegnare in maniera continuativa alla collettività l’edificio monumentale recuperato, sebbene si fosse prevista sin dall’origine una precisa destinazione d’uso. La domanda non può che essere una: a che cosa è servito l’intervento? A sottrarre il monumento al decadimento architettonico per avviarlo, con la chiusura, a un nuovo corso di degrado?
È la sorte a cui non sembra sfuggire Palazzo Ciampoli, esempio di architettura gotico-catalana del XV secolo nel sud d’Italia. Doveva ospitare un museo etnoantropologico, perché con questa precisa finalità la Regione aveva avviato nel 1981 le procedure di esproprio, concluse solo nel 2000 per strascichi giudiziari. Dopo quattro interventi, dal 1989 al 2008, volti al consolidamento e alla messa in sicurezza dell’edificio, reso inagibile da una lunga stagione di abbandono, nel settembre 2013 è stato avviato dalla Soprintendenza l’ultimo intervento per completare il restauro e rifunzionalizzare il palazzo in struttura museale.
Il progettista e direttore lavori, Rosario Vilardo, ci spiega che «il progetto ha inteso trasformare le criticità in opportunità». Negli anni 50, infatti, il palazzo era stato oggetto di profonde modifiche strutturali e architettoniche per trasformarlo in un night club, «con la demolizione delle coperture a falde, sostituite con solette in laterocemento, lo scavo di vani e di ambienti in luogo dei giardini che circondavano il palazzo». Ed è su queste porzioni di fabbricato che «sono stati convogliati gli interventi di mera rifunzionalizzazione: bookshop, caffetteria, servizi igienici, depositi, back-office». Come pure «il collegamento verticale e le vie di fuga sono stati concentrati in un nuovo corpo scala, autonomo ed esterno all’edificio storico, realizzato con materiali contemporanei quali acciaio, vetro e alluminio, conformato per assorbire la sproporzione volumetrica tra recenti costruzioni confinanti e prospetto sud».
L’intervento è stato completato nel dicembre scorso, in tempo utile per non perdere i finanziamenti comunitari. «Ciò ha impedito di fruire», spiega ancora Vilardo, «proprio del nuovo corpo scala-ascensore». Il restauro e consolidamento è costato 1.114.271 euro, mentre 910.720 euro sono stati spesi per allestimenti, arredi, evento mostra e altri oneri.
Già, la mostra, non indimenticabile, dedicata al patrimonio artistico della Provincia di Messina legato alla scuola antonelliana, curata dalla storica dell’arte della Soprintendenza Grazia Musolino, da sola costata ben 310.000 euro, a cui se ne aggiungono 181.858,50 per arredi e corpi illuminanti che rimarranno, per lo meno, a disposizione del palazzo anche dopo l’evento. Il tutto per una mostra che avrebbe dovuto chiudere i battenti dopo appena un mese, salvo prorogarla di due settimane, fino al 14 febbraio.
Tuttavia, la cinghia è stata tirata da qualche altra parte, ad esempio per l’impianto di climatizzazione, del tipo di quelli di uso domestico. Come una cosa del genere sia potuta accadere ce l’ha spiegato un architetto alle dipendenze dello stesso Assessorato ai Beni culturali siciliani: «In mancanza di specialisti nei vari settori, impianti e strutture, o ti appoggi a qualche amico caritatevole che ti fa gratis un progetto, o fai l’appalto concorso che in Assessorato si è visto per lungo tempo come fumo negli occhi, o realizzi cose che non necessitano di calcoli o difficoltà tecniche similari. Questo è uno dei gravi problemi, quasi insormontabili, dell’attuale legge sugli appalti e del rispetto delle regole comunitarie». Vilardo, invece, difende la scelta progettuale: «Un impianto di climatizzazione o anche antincendio, per quanto realizzabile in edifici non monumentali e/o di nuova edificazione, nel caso di Palazzo Ciampoli avrebbe comportato dolorose demolizioni». Insomma, come se non esistessero sistemi più adeguati con le esigenze di compatibilità estetica, di ridotto riscaldamento, di conservazione e di umidificazione proprie dell’edilizia storica, non distruttive né invasive della struttura muraria.
Ma tant’è, prima della climatizzazione veniva la mostra, perché altrimenti il palazzo rischiava di tornare subito off limits, dal giorno stesso dopo l’inaugurazione del 29 dicembre. Alla fine, infatti, il museo non lo si è realizzato. Il soprintendente di Messina, Rocco Scimone, ci riferisce che «l’assessore regionale ai Beni culturali Carlo Vermiglio ha espresso il suo impegno per trovare una soluzione» ma, di fatto, non c’è una collezione da esporre, né si è individuato un canale finanziario su cui far valere l’allestimento. Senza considerare che «il trentennio trascorso dal decreto d’esproprio», ci dice Vilardo, «ha in qualche modo sminuito la valenza della destinazione d’uso originaria: in una pubblicazione di qualche anno fa, infatti, venivano censiti una sessantina di musei etnoantropologici presenti nella sola Provincia di Messina».
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Last modified: 29 Gennaio 2016