Fino al 7 febbraio 2016, una mostra al Museum of the City of New York ripercorre la storia dell’edilizia sociale dal 1867 a oggi
NEW YORK. «Affordable New York» suona quasi come un ossimoro. New York conta quasi nove milioni di abitanti ed è oggi nota come una città che per i suoi affitti è economicamente sostenibile solo per chi lavora nella finanza o per le star di Hollywood. È finita da tempo l’era in cui ospitava artisti, ballerini, scrittori in cerca di fortuna.
Eppure, ironia della sorte, fu la Municipalità di New York a promulgare per la prima volta nel 1857 una legge nazionale per la costruzione di case popolari e a realizzare nel 1935 il primo progetto di edilizia convenzionata, mentre oggi l’amministrazione de Blasio promuove un piano decennale con la previsione di 200.000 unità economicamente sostenibili.
Cosa si definisce come sostenibile? Secondo il governo federale degli Stati Uniti, principale finanziatore dei progetti, un’abitazione si considera sostenibile quando il suo affitto non supera il 30% dello stipendio mensile di una famiglia. Invece, il Museum of the City of New York offre come al suo solito un’esaustiva mostra sulla storia dell’edilizia sociale dai suoi inizi a oggi. La storia, e allo stesso modo la mostra, è scandita in quattro fasi cronologiche. Le origini dal 1867 al 1933, anni caratterizzati principalmente da progetti di risanamento urbano per assicurare norme d’igiene e costume, garantendo il binomio moderno di aria e luce. Poi, nel periodo dal 1934 al 1973 si passa ai grandi numeri, con la costruzione di più di 135.000 appartamenti. Nonostante ciò, nel 1965, l’agenzia per l’edilizia della città di New York (NYCHA) contava ancora 100.000 abitanti in lista di attesa. Una terza sezione, dal 1942 al 1973 racconta la necessità di alloggiare i ceti medi che a causa dei prezzi si spostavano nei sobborghi, sottraendo quindi entrate (tasse) dalle casse municipali. Forse per questo, mentre in molte città americane l’edilizia sovvenzionata si trova in zone off limit, a New York si trovano spesso vicino a parchi urbani e infrastrutture: basti pensare ai progetti curati da Robert Moses (denominati Title I Projects). Infine, il periodo dal 1973 a oggi è stato inaugurato dalla cessazione dei finanziamenti federali da parte del governo Nixon, coincisa con una grossa crisi dell’edilizia, tagli alle spese ed edifici abbandonati. La situazione si aggravò con gli episodi di redlining, ovvero il divieto di affitto e accesso in base a razza ed etnia. A questo si sono sostituiti progetti finanziati da privati, ai quali si permetteva di costruire previo il destinare una percentuale di cubatura all’edilizia sovvenzionata. Tale pratica prevedeva anche il noto “1% art program” del 1985, la quota da destinare a spazio pubblico con la realizzazione di opere d’arte.
Una problematica che l’amministrazione de Blasio dovrà affrontare è ancora una volta la situazione dei ceti medi, ovvero troppo abbienti per rientrare tra i beneficiari di case popolari e non sufficientemente benestanti per poter affrontare l’aumento dei prezzi di alloggi che sovvenzionati non sono. Mentre ci si attiva per tutelare i senzatetto (è recente lo stanziamento di 2,7 miliardi di dollari per la costruzione di 15.000 alloggi), mancano regolamentazioni per i ceti medi che possono solo barcamenarsi con un’altra nota tipologia di affitto newyorkese, quella dell’affitto regolato, che tuttavia non è soluzione sufficientemente adeguata.
Ancora una volta l’America è storia di eccessi e di estremi, dove la virtù non sta nel mezzo.
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L’ambizioso programma del sindaco di New York per i senzatetto, ma Adjaye non mantiene tutto quel che promette (di Danilo Udovicki-Selb)
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mostre , new york , social housing
Last modified: 30 Marzo 2016