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Cristina DonatiWritten by: Città e Territorio

Firenze tenta di mettere in atto la strategia “volumi zero”

Firenze tenta di mettere in atto la strategia “volumi zero”

Elisabetta Meucci è stata eletta all’unanimità nuova presidentessa dell’AUDIS, l’associazione Aree urbane dismesse che il 16 maggio a Modena si accinge a celebrare il proprio convegno nazionale dal titolo “Rigenerare l’Italia. Ruoli, obiettivi, strumenti per ripartire dalle città” (partecipazione gratuita previa registrazione su www.audis.it). È l’occasione per rivolgerle alcune domande su come Firenze intenda valorizzare il ruolo e gli strumenti per il recupero e la rigenerazione urbana. Fiorentina, laureata in giurisprudenza, avvocato, Meucci ha ricoperto diverse cariche in Regione e in Comune, occupandosi di assistenza legislativa in materia di Affari istituzionali, organizzazione del personale, sanità, politiche sociali e culturali. Nel 2009 entra in Consiglio comunale con l’incarico di presidente della Commissione urbanistica fino alla sua nomina ad assessore alle Politiche del territorio e patrimonio non abitativo del Comune di Firenze, oggi al secondo mandato.

In qualità di neopresidentessa di Audis, quali temi intende portare all’attenzione dell’Associazione per rilanciare la questione della rigenerazione urbana, oggi sempre più al centro del dibattito sulla città contemporanea?

La nomina al vertice di Audis è un grande onore ma anche una grande sfida che affronterò con un impegno rivolto a diffondere un nuovo modo di pensare la disciplina urbanistica e la rigenerazione in particolare. Si è oramai consapevoli che serve una “nuova urbanistica”, cioè un governo del territorio urbano che aggiorna i propri paradigmi di riferimento. Credo che sia indispensabile introdurre elementi di innovazione, a partire dal campo che tradizionalmente circoscrive la rigenerazione urbana. Oggi, rigenerazione non deve significare soltanto recupero e rifunzionalizzazione di immobili non utilizzati o sottoutilizzati ma anche eliminare i parcheggi dalle nostre piazze, incentivare il risparmio energetico con interventi di retrofitting degli involucri, recuperare a fini turistici beni che l’agricoltura abbandona, investire per lo sviluppo del trasporto pubblico. Tutte queste sono operazioni di valorizzazione e di tutela delle risorse territoriali che devono diventare parte integrante dell’urbanistica sostenibile del futuro. Più specificatamente, bisogna ripensare la pianificazione non solo in termini di progettazione “architettonica” ma con la logica più ampia del ciclo economico del progetto. E non mi riferisco solo ai costi-benefici ma soprattutto ai flussi finanziari necessari per una corretta gestione e mantenimento nel tempo di un bene pubblico. In uno scenario pluriennale devono quindi trovare attuazione soltanto interventi di cui è verificata la sostenibilità finanziaria sia nella fase di cantiere che nella fase a regime. Ripensare quindi la città contemporanea nell’ottica di un’innovativa sostenibilità globale del progetto e del processo di rigenerazione del territorio. C’è molta materia da sviluppare e mi pare ci sia spazio per sperimentare. Come presidentessa di Audis è questo il mio auspicio.

Quali meccanismi possono riavviare la trasformazione delle aree urbane dismesse, oggi al palo per la crisi economica (molto di più della costruzione ex novo)?
Vorrei affrontare questa fondamentale domanda, che qualunque amministratore dovrebbe porsi e che risulta troppo spesso assente nell’agenda dei politici, attraverso la mia esperienza al Comune di Firenze. Una città d’arte con un territorio molto limitato come Firenze non può eludere la questione del recupero. Dopo il Piano strutturale del 2011, concepito all’insegna della filosofia dei “volumi zero”, abbiamo portato avanti il nostro impegno con un censimento delle aree e delle superfici dismesse da cui sono emersi 1.200.000 mq tra aree pubbliche e private. Un dato significativo che ha confermato che una “politica di trasformazione” può essere solo una “politica di rigenerazione”. Su questa considerazione abbiamo impostato il primo Regolamento urbanistico, adottato il 25 marzo 2014, che pone in trasformazione 750.000 mq di SUL. Nella sua globalità, l’intera l’operazione sul territorio prevista dal Regolamento porta al risultato dei “volumi 0”, anzi a una riduzione della superficie complessiva.

Quali sono gli strumenti attraverso cui il Comune di Firenze pensa di agevolare queste trasformazioni?
Nella sua parte strategica, il Regolamento urbanistico si compone di 218 schede che individuano le trasformazioni in maniera puntuale e operativa, cioè in un modo tale che i soggetti interessati (proprietari privati o amministrazione pubblica) siano messi in grado di procedere speditamente. Alcune di queste trasformazioni, oltre che tramite Piano di recupero, possono essere eseguite con intervento diretto sulla base della disciplina edilizia. Per altre ancora, si prevede lo strumento della perequazione che ha come obiettivo l’alleggerimento di alcune parti dense della città con il trasferimento di volumi incongrui in altre aree individuate dallo stesso Regolamento. La semplificazione e la perequazione sono quindi alcuni degli strumenti che consentiranno di trasferire gli edifici incongrui nella parte più centrale della città in aree già individuate.

Come siete arrivati a giudicare cosa si può e cosa non si può realizzare?
Un tempo i Piani regolatori disegnavano solo ciò che piaceva o era permesso, oggi il nostro obiettivo è stato quello di arrivare a un Regolamento urbanistico che fosse concretamente realizzabile. A questo scopo, nel 2013 abbiamo emanato un avviso pubblico che non ha vincolato in alcun modo l’amministrazione e che ci ha invece messo a conoscenza delle proposte dei privati al fine di poterne valutare la realizzabilità in funzione degli indirizzi già espressi nel Piano strutturale. Così, abbiamo potuto prendere atto dei fermenti all’interno della città e di cosa poteva essere portato a compimento. Abbiamo ricevuto un centinaio di proposte che sono state attentamente valutate e una buona parte sono state ammesse a trasformazione.

Come pensate ora di incentivare i privati a portare a termine queste trasformazioni?
È importante ricordare che la parte strategica del Regolamento urbanistico ha una validità di 5 anni, questo significa che per tale lasso di tempo i privati hanno la possibilità di poter trasformare secondo le indicazioni del Piano; passati i 5 anni decade questo diritto e l’Amministrazione ritorna nella facoltà di poter ammettere altri che nel frattempo hanno fatto le loro proposte di rigenerazione. E’ quindi interesse dei privati mettere in moto queste operazione nel tempo consentito, perché non c’è certezza che tra 5 anni potranno ancora farlo. Inoltre, Firenze non ha più l’indice di edificabilità. quindi è consentito solo trasformare e le aree libere possono essere coperte solo tramite la perequazione, che in via sperimentale riguarderà 50.000 mq di superficie.

Quali sono invece i benefici per il Comune, per la città e i cittadini?
La rigenerazione del patrimonio edilizio prevede l’implementazione della rete ecologica dell’ambiente urbano che viene veicolata attraverso le prescrizioni previste dal Regolamento per le trasformazioni di iniziativa privata. Anche gli immobili dismessi del patrimonio comunale sono oggetto di interesse delle prossime politiche di rigenerazione: un esempio è il complesso della Fortezza da Basso di cui a maggio verrà presentato il Piano di recupero con la prospettiva di ultimare i lavori entro il 2017, anno in cui Firenze ospiterà il G8. Tutto questo costituisce una chiara politica a beneficio della collettività. La rigenerazione urbana richiede una concertazione strategica di tutti gli enti preposti. Ritiene che vi sia una volontà condivisa ad agevolare le politiche di recupero e trasformazione? In linea di principio sì. In questo senso, siamo orgogliosi che la Regione, con la nuova Legge regionale, abbia raccolto la sfida del Comune sui “volumi zero”, sulla rigenerazione urbana e sullo sviluppo della città che resta dentro la città. Chiediamo però più flessibilità perché la legislazione regionale è ancora troppo legata al concetto di divieto all’espansione che è ormai anacronistico. Serve maggiore flessibilità e meno burocrazia.

Autore

  • Cristina Donati

    Prima collaboratrice poi redattrice della testata online fin dagli esordi nel 2014. Prematuramente scomparsa nel 2021. Studia architettura a Firenze dove consegue un Dottorato di ricerca in storia dell’architettura. Dopo la laurea si trasferisce a Oxford dove collabora con studi professionali, si occupa di editoria e cura mostre per Istituti di cultura a Londra. Ha svolto attività didattica per la Kent State University (USA) con il corso di Theories of Architetcure. Scrive per numerose riviste internazionali e svolge attività di ricerca sull’architettura contemporanea e i suoi protagonisti. Dirige la collana editoriale «Single» sul progetto contemporaneo per la Casa Editrice Altralinea. E' autrice di saggi e monografie tra cui: «Michael Hopkins» (Skira, 2006); «L’innovazione tecnologica dalla ricerca alla realizzazione» (Electa, 2008); «RSH+P, Compact City» (Electa, 2014); «Holistic Bank Design» (Altralinea, 2015).

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Last modified: 7 Luglio 2015