ROMA. Il riemergere di una posizione culturale che spinge alla cancellazione della via dei Fori Imperiali non stupisce (cfr. lintervista di Lucia Annunziata al sindaco Ignazio Marino su Huffington Post dell11 agosto e gli articoli di Alessandro Capponi su Il Corriere della Sera del 12 agosto e di Carlo Alberto Bucci su la Repubblica del 31 ottobre scorso). Siamo un Paese (e una Capitale) che rimette continuamente in discussione scelte assunte a livello politico e amministrativo, come se la faticosa convergenza decisionale di soprintendenti, amministratori e tecnici degli anni passati non contassero nulla rispetto alle nuove e spesso personali posizioni.
Vorrei allora ricordare le ragioni per le quali nello scorso decennio la conferma di questa strada che non coincide affatto con la sua conservazione tout court e non può essere ricondotta nello schema di una ridicola e anacronistica contrapposizione tra ragioni di destra e di sinistra sia divenuta oggetto di specifiche elaborazioni del Comune e dello Stato che hanno dato sostanza allatto formale del Decreto di vincolo del 20/12/2001. Mi riferisco a due documenti. Il primo in ordine di tempo è lo Schema di assetto preliminare per larea archeologica centrale del 2006, elaborato da una Commissione tecnica comunale voluta dal sindaco Walter Veltroni e dallassessore Roberto Morassut, di cui ero responsabile scientifico assieme al compianto Mario Manieri Elia e di cui facevano parte i dirigenti Daniel Modigliani e Gennaro Farina degli uffici comunali competenti (Pianificazione e Città storica) e il soprintendente comunale ai Beni culturali Eugenio La Rocca. Laltro documento è quello finale della Commissione Stato-Comune del 2008, voluta dallallora ministro per i Beni e le attività culturali Francesco Rutelli, a cui hanno partecipato tra gli altri, oltre ai componenti della citata Commissione comunale, anche alcuni consulenti scientifici come Andrea Carandini e Giorgio Croci nonché i soprintendenti ai Beni archeologici e ai Beni culturali e paesaggistici di allora, Angelo Bottini e Luciano Marchetti.
In questi documenti – successivi di pochi mesi alla proposta avanzata da Massimiliano Fuksas e Adriano La Regina per un ripensamento della via dei Fori Imperiali come luminosa e vitale strada-ponte di nuova concezione – la conferma del tracciato ha una sua chiara motivazione in una lettura della storia urbana e del futuro dellarea che va aldilà di ovvie e indiscutibili motivazioni divergenti dallispirazione politica originaria che portò a realizzarla. Ma aldilà anche di comprensibili valutazioni connesse alle attese di conoscenza e valorizzazione integrale dei resti monumentali antichi che giustificherebbero lassoluta priorità archeologica.
La via dei Fori Imperiali è oramai riconosciuta dalla cultura contemporanea quale parte significativa e irrinunciabile del patrimonio storico-culturale di Roma. Proiettata da piazza Venezia verso il Colosseo lungo una traiettoria retoricamente monumentale, partecipa al più ampio progetto urbano degli anni trenta connesso allasse di via del Corso, lantico cardo di Roma, che ha il suo snodo funzionale e simbolico in piazza Venezia. Di qui infatti partono le due direttrici di via dei Fori Imperiali e di via del Teatro di Marcello (ex via dei Monti e via del Mare) che, dirigendosi verso sud-est (per ricongiungersi a Porta Capena), realizzano i collegamenti verso i Castelli romani (Porta San Sebastiano) e verso lEur e il mare (Porta Ardeatina). Su questa lettura della vicenda storica romana si soffermano lungamente e in modo argomentato due dei cinque progetti strategici del nuovo PRG che la città ha sostanzialmente ignorato negli ultimi cinque anni, quello della direttrice nord-sud degli anni trenta dal Foro Italico allEUR e quello del cuneo verde del Parco dellAppia e dellarea archeologico-monumentale. Leliminazione della strada cancellerebbe quindi un tratto distintivo di questo importante pezzo di storia urbanistica del Novecento e della forma urbana che ha prodotto.
Cè unaltra motivazione su cui entrambe le Commissioni si soffermavano. Limmagine assertiva della strada e la memoria degli eventi storici di cui è stata teatro non possono divenire, dopo 70 anni, una ragione sufficiente per eliminarla in nome di un risarcimento politico e ideologico. Anzi ne certificano il valore storico-culturale e ne impongono la tutela e la valorizzazione. Lassetto urbano concepito e realizzato negli anni trenta del secolo scorso risulta daltronde pienamente compatibile con un approccio alla valorizzazione delle vicende urbane storiche che sappia fare i conti, senza moralismi e preconcetti, con la necessaria compresenza dellintero palinsesto delle tracce di età antica, medievale e moderna. In questo senso, la via dei Fori Imperiali costituisce oramai un topos dellastoria moderna di Roma, a cui è affidato il ruolo di un disegno urbano rispondente alle dinamiche e alla qualità della vita di una città contemporanea che salda, al bisogno di autenticità attuale, lesigenza di radicamento e di scambio dialettico, interattivo e vitale con la storia.
Ciò non significa ovviamente che la strada debba essere mantenuta così comè. I documenti citati, in particolare quello del Comune, delineavano alcune modifiche del suo assetto attuale perché la strada possa convivere e dialogare con la realtà storico-archeologica che la circonda: una più estesa fruizione pedonale e ciclabile e servizi – come già si va delineando attraverso le iniziative del sindaco Marino – e la realizzazione di apparati illustrativi necessari alla comprensione di quanto è visibile; ma soprattutto il ripensamento spaziale e vegetale unitario della strada nel rispetto della diversità dei suoi due tratti; il potenziamento delle connessioni trasversali con la città; il ridisegno dellaccessibilità alle aree archeologiche sottoposte; una più ampia permeabilità ipogea tra le diverse parti dei Fori Imperiali che superi la logica provvisoria delle promiscue connessioni attuali; la riconfigurazione dei luoghi di affaccio e di accesso alle parti afferenti alle diverse fasi del palinsesto, oggi scarsamente leggibili e soprattutto non riconducibili a una strategia narrativa diacronica consapevole della necessità di valorizzare una stratificazione plurimillenaria. Quanto basta insomma per indire uno straordinario concorso internazionale di progettazione – o più concorsi mirati, come prospettammo anni fa (cfr. Lilli Garrone su Il Corriere della Sera del 18 aprile 2006 e Francesca Giuliani su la Repubblica del 31 marzo 2007) – per interventi a basso costo, guidati da una regia pubblica e da un’intenzionalità progettuale chiare del Comune e delle soprintendenze. Forse si tratta di operazioni meno eclatanti della spettacolare demolizione di una strada, ma sicuramente molto più economici e utili al rafforzamento delle relazioni urbane con la città e alle connessioni interne allarea.
I costi appunto, perché questo è laltro punto dolente. Una discussione sul futuro della strada incide infatti sulle risorse a disposizione e sulla loro allocazione prioritaria. Qualcuno dovrebbe quindi spiegare ai cittadini di Roma e del mondo come sia possibile, in una fase storica come questa e aldilà delle argomentazioni storiche e urbanistiche prima tratteggiate, giustificare la paventata decisione sulla rimozione del vincolo – e la ben più grave previsione di risorse pubbliche necessarie per realizzare le decisioni conseguenti – rispetto alle vere priorità che abbiamo davanti. Non mi riferisco solo alle necessarie opere di ridisegno della strada stessa a cui ho accennato pocanzi, ma allurgenza di trovare risorse per mettere in sicurezza un patrimonio che cade a pezzi, dal Palatino alla Domus Aurea. O alla necessità di recuperare edifici storici abbandonati, male o sottoutilizzati – penso allo stato scandaloso delle uccelliere farnesiane sul Palatino, alla Torre dei Conti e a Palazzo Rivaldi, per citarne solo alcuni – che potrebbero svolgere funzioni di eccellenza ma rigorosamente dentro una strategia di rete e un modello gestionale unitario, pur delineati dai documenti citati. In questa direzione le amministrazioni pubbliche dovrebbero finalmente cooperare, con un sano pragmatismo, per obiettivi concreti e fattibili di rilancio dellarea archeologico-monumentale che già sono individuati da anni, che spesso passano per normali operazioni di manutenzione urbana e che non hanno bisogno di essere continuamente messi in discussione.
* Carlo Gasparrini è professore ordinario di urbanistica presso lUniversità di Napoli Federico II ed è stato il consulente-coordinatore scientifico delle elaborazioni normative e progettuali per la Città storica nel nuovo PRG di Roma