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Emanuele PiccardoWritten by: Professione e Formazione

Nelle sue fotografie architettura, città e paesaggi erano antropizzati

Nelle sue fotografie architettura, città e paesaggi erano antropizzati

Gabriele Basilico, classe 1944, architetto formatosi al Politecnico di Milano nel clima della contestazione universitaria, è stato il fotografo italiano ed europeo che ha coniugato il binomio architettura-fotografia. Fin dall’inizio i soggetti delle sue fotografie sono infatti le architetture, le città, i porti, i paesaggi antropizzati.
Erede della tradizione dei fratelli Alinari e di Charles Marville (che fotografò le trasformazioni parigine del barone Haussmann) piuttosto che dell’altro grande fotografo «parisien», Eugène Atget, ha contribuito con la sua fotografia analitica a raccontare gli spazi. Questo accadde per le committenze pubbliche come la «Mission Photographique de la Datar» (1984) sulle trasformazioni in atto sul territorio francese, o le autoproduzioni come «Ritratti di fabbriche», dove, nel 1978, ritrae gli insediamenti industriali periferici milanesi. Le prime commesse delle riviste di architettura, lo stretto rapporto con «Domus», Alvaro Siza, Aldo Rossi e Stefano Boeri fanno di Basilico il fotografo di architettura più noto. Il suo lavoro s’inserisce in un panorama di autori che vanno da Yukio Futagawa, fondatore della rivista «GA», a Julius Shulmann, il fotografo che rese celebri i case studies e le architetture mid-century californiane. Ma il fotografo milanese, a differenza dei suoi illustri predecessori, non si limitò alla fotografia di architettura in senso letterale, propose bensì una fotografia autoriale che nasceva dall’aver studiato l’opera di Walker Evans e, successivamente, dei coniugi Becher. Una fotografia che ha condizionato lo sguardo di generazioni di fotografi, scrivente compreso, nel descrivere le architetture in bianconero.
Proprio l’architettura ritratta per le riviste diventa un veicolo importante nella diffusione delle opere degli architetti. «Fotografare un’architettura è come fare il ritratto di una persona», scrive Basilico in Architetture, città, visioni, «spesso è più importante quello che si nasconde rispetto a quello che si vede […] L’atto del fotografare ci aiuterà a capire la forma semplice o complessa dei luoghi a coglierne analogie o differenze fino a illuderci di poter possedere e manipolare il reale attraverso la sua immagine».
Col tempo il linguaggio degli esordi, espressivo e formale, era divenuto più asettico nelle tonalità dei grigi e nel passaggio al colore, fino ad allora usato solo per i redazionali. Negli ultimi anni, con l’avvento dei fotografi globetrotter e il cambiamento del mercato editoriale dell’architettura, erano diminuite le commesse delle riviste e il suo interesse era sempre più orientato, come in una magnifica ossessione, sulle città, da Roma a Mosca.
L’eredità che lascia Basilico è uno straordinario atlante di spazi, architetture famose e ignote, periferie e paesaggi che ci aiutano a comprendere meglio il mondo, senza pregiudizi ma con una curiosità nel lasciarsi sorprendere ancora dai luoghi.

Autore

  • Emanuele Piccardo

    Architetto, critico di architettura, fotografo, dirige la webzine archphoto.it e la sua versione cartacea «archphoto2.0». Si è occupato di architettura radicale dal 2005 con libri e conferenze. Nel 2012 cura la mostra "Radical City" all'Archivio di Stato di Torino. Nel 2013, insieme ad Amit Wolf, vince il Grant della Graham Foundation per il progetto “Beyond Environment”. Nel 2015 vince la Autry Scholar Fellowship per la ricerca “Living the frontier” sulla frontiera storica americana. Nel 2017 è membro del comitato scientifico della mostra "Sottsass Oltre il design" allo CSAC di Parma. Nel 2019 cura la mostra "Paolo Soleri. From Torino to the desert", per celebrare il centenario dell'architetto torinese, nell'ambito di Torino Stratosferica-Utopian Hours. Dal 2015 studia l'opera di Giancarlo De Carlo, celebrata nel libro "Giancarlo De Carlo: l'architetto di Urbino"

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Last modified: 18 Luglio 2015