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Written by: Città e Territorio

Il mondo s’incontra tra le colonne, ma è solo un’idea

Milano. Il modello «è quello della stoà greca, di uno spazio urbano e civile di incontro, connotato dalle dimensioni dell’ombra, del vuoto, del passo regolare della struttura»: also sprach Angelo Lunati di Onsitestudio, portavoce del raggruppamento vincitore del concorso per le architetture di servizio dell’Expo 2015 (con Giancarlo Floridi di Onsitestudio, Liverani & Molteni Architetti, Monica Lavagna, Lavinia Chiara Tagliabue, Michela Buzzetti; tutti di Milano). Un concorso «di idee» per certi versi ambiguo nella sua formulazione, dato che si chiedeva una definizione quasi da progetto preliminare, e comunque una fattibilità avanzata, vera. Un concorso d’idee a cui si sono attribuiti valori e attese forse esterne al tema (e le polemiche non sono mancate, anche perchè è l’unico finora bandito, e non se ne attendono altri da parte dell’amministrazione dell’Expo), che era quello di progettare con un’impronta unitaria e in aderenza ai temi della manifestazione («nutrire il pianeta») un sistema di edifici polifunzionali per tutti i 67.000 mq di servizi, dai bagni ai ristoranti alle infermerie, di cui la manifestazione avrà bisogno.
Fino dalle prime battute, il progetto del sito espositivo ha cercato un difficile equilibrio tra la realtà di una periferia industriale e l’evocazione di un paesaggio naturale, e il disciplinare di concorso proponeva d’immergersi in questa contraddizione. Si chiedeva un modello di edificio «in linea» confortevole ma anche a basso consumo, temporaneo ma anche solido, manifestamente innovativo ma poco appariscente. Materiali? Da scegliere liberamente ma sul territorio, in un raggio di 350 km dal sito. Volumi? Massimo, due piani di riciclabile leggerezza, su un interrato continuo di cemento. Fedeli all’assunto che il miglior progetto è quello che ridefinisce il programma, al posto dell’«edificio» con «facciate» prefigurato dal bando, Onsitestudio e compagni hanno progettato una struttura trasparente, aperta e porticata, quasi un’ala di mercato. Una foresta di colonne in legno e solai a sbalzo, ombrosa e permeabile, sotto la quale collocare le diverse funzioni, compartimentate solo dove necessario. Per raffrescare questa struttura e stabilire una relazione «con il paesaggio lombardo delle risaie», fa la sua comparsa il roof pond, una lamina d’acqua sulla copertura piana che si trasforma in un velo d’acqua verticale che scorre sulle facciate. Secondo gli stessi progettisti «la sfida era impegnativa, dato che il bando ci chiedeva di impiegare tecnologie “compatibili”, pur garantendo un comfort adeguato nei mesi più caldi. Abbiamo allora pensato a sistemi impiantistici che garantiscano il comfort con aria primaria integrando nei momenti critici l’apporto del roof pond e dei sistemi radianti a pavimento che costituiranno una climatizzazione “di base”». Convincenti anche le scelte di rappresentazione; nessun rendering ma un modello in legno piuttosto grezzo, che sottolineava bene la semplicità un po’ idealizzata della proposta.
E adesso? L’amministratore delegato di Expo 2015 non si è sbilanciato, dichiarando che il progetto premiato verrà considerato come «una idea di base, su cui si lavorerà per renderla adattabile al progetto generale»; al di là degli aspetti formali (si parla di una direzione artistica, «ma non chiedeteci altro per ora») si spera, in effetti, che rimanga qualcosa di più e che, a furia di adattare, non si tornino a riproporre scatole e tubi e casette chiuse e ad aria condizionata, come molte di quelle che la giuria ha respinto. «Che rimanga», assicura Lunati, «l’idea dello spazio d’ombra e d’incontro: è quello per cui ci stiamo impegnando».

Autore

  • Edoardo Piccoli

    Storico dell’architettura al Politecnico di Torino, già caporedattore del «Giornale dell’Architettura»; studia l’architettura e la città europea dell’età moderna e contemporanea, con un particolare interesse per l’architettura del Settecento

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Last modified: 8 Luglio 2015