Visit Sponsor

Tommaso CigariniWritten by: Interviste

Il ritorno di Henri Ciriani a Lima: qui vivo la mia seconda vita

Il ritorno di Henri Ciriani a Lima: qui vivo la mia seconda vita

Henri Ciriani sta conducendo una grande battaglia per difendere il suo Museo di arte antica ad Arles (1983-1995), considerato una delle architetture europee più significative del periodo. L’edificio è attualmente in grave pericolo perchè il Consiglio generale delle Bouches-du-Rhône, in vista delle celebrazioni di Marsiglia quale Capitale europea della cultura 2013, ha deciso di ampliarlo senza incaricare nè consultare Ciriani. Si tratta di un intervento di 800 mq che non tiene conto del delicato equilibrio con il sito che il progetto originario aveva raggiunto con maestria e delicatezza. Il mondo della professione sta reagendo con lettere e raccolte internazionali di firme rivolte al ministro della Cultura francese e alle autorità competenti della Regione appellandosi all’evidente violazione della proprietà intellettuale e artistica dell’opera. Tuttavia i lavori, avviati nel dicembre 2011, sembrano non volersi fermare perchè il Consiglio delle Bouches-du-Rhône è in possesso delle autorizzazioni edificatorie necessarie. Ci auguriamo che la battaglia in corso porti a fermare i lavori e coinvolga Ciriani nel progetto di ampliamento del museo. Solo in questo modo si potrà salvare l’integrità e la coerenza architettonica del museo esistente.
Lasciata la professione nel 2000, Ciriani ha deciso di ritirarsi ufficialmente dalla professione di architetto per trascorrere metà dell’anno in Perù, a Lima, e l’altra metà nella regione francese della Borgogna. Nato a Lima nel 1936, Ciriani aveva lasciato il Perù nel 1968 per trasferirsi a Parigi, dove ha lavorato per 30 anni, costruendo edifici pubblici (musei, scuole e case popolari) con una forte preoccupazione sociale e con un approccio multidisciplinare. La sua casa-studio in Borgogna è il laboratorio da cui, con uno sguardo più acuto perchè geograficamente defilato, osserva, studia, e progetta gli edifici per il suo paese d’origine. L’occasione è anche legata al boom economico che la capitale peruviana ha conosciuto negli ultimi anni. Si parla di «nuovo rinascimento» per Lima, la città-regione da 9 milioni di abitanti, dove l’attività edilizia non conosce sosta. Dappertutto sorgono nuove costruzioni: torri residenziali, palazzi per uffici, negozi e ristoranti di ogni tipo (Lima ha appena vinto un premio come capitale gastronomica del continente americano), lussuose residenze al mare per la ricca borghesia emergente ma anche opere come il Museo della Memoria, dedicato alle vittime del conflitto armato interno, attualmente in costruzione a firma degli architetti Sandra Barclay e Jean Pierre Crousse.
Sempre a Lima merita segnalare il carattere cosmopolita dello studio 51-1 Arquitectos, che ha costituito la società Supersudaca con lo scopo di unire le energie progettuali latinoamericane collaborando a distanza con una fitta rete di studi di architettura in Argentina, Cile, Uruguay, Curacao e Olanda. Attualmente il collettivo sta realizzando il Museo di arte Moderna a Medellìn (Colombia), vinto in seguito a un concorso internazionale, ed è la prima volta che uno studio di architettura peruviano costruirà un importante edificio pubblico all’estero.
Se poi dal Perù si allarga lo sguardo, va rilevato che l’architettura latinoamericana sta assumendo un’importanza crescente nel panorama mondiale. Realizzazioni sempre più numerose di edifici pubblici e privati vengono firmate da progettisti più o meno noti ma di grande qualità. Caratteristica è la radicalità delle idee e la forte sperimentazione con i nuovi materiali e con le tecnologie rese possibili da un apparato burocratico molto più snello rispetto a quello dei paesi europei. I regolamenti edilizi sono infatti più generici dei nostri e concedono agli architetti ampi spazi di sperimentazione. Se nel più generale quadro economico la crescita dei paesi latinoamericani è legata alle esportazioni di materie prime (gas, oro, rame, argento, zinco, petrolio ma anche pesce, mais, cotone e legname), a questa si accompagna la consapevolezza di voler giocare un ruolo non più culturalmente subordinato all’Europa e agli Stati Uniti. Le nuove generazioni sudamericane si stanno ribellando al neocolonialismo culturale, tuttavia ancora molto marcato nella cultura ufficiale. L’architettura moderna latinoamericana vuole quindi contribuire al rinnovamento della società, emancipandosi da modelli finora imposti dall’estero. Le realizzazioni, infatti, fanno propri molti assunti del Movimento moderno, fondendoli però con la cultura, lo spirito e il clima del luogo.

Incontriamo Ciriani in Borgogna per farci raccontare la sua «seconda vita» legata al paese d’origine, turbata dall’amarezza per la vicenda di Arles.
Che cosa pensa del progetto di ampliamento del Museo senza la sua consulenza?
Se mi chiedete qual è il mio stato d’animo di fronte all’evidente violenza che sta affliggendo il mio museo, posso solo dire che mi trovo ad affrontare la mia prima depressione. Ho consacrato dodici anni della mia vita di architetto (sui trenta dedicati alla professione in Francia) per realizzare quest’opera che ora si sta demolendo senza alcun rispetto.

A che cosa si sta dedicando come insegnante in Perù?
Dal 2009 sono tornato in Perù a insegnare al Taller de diseño avanzado (Tda), che è un corso avanzato post laurea tenuto nell’Università peruviana di scienze applicate (Upc). Ho sempre voluto insegnare agli architetti che vogliono diventare professori. Visto che arrivo a Lima con l’aureola europea, mi fanno fare quello che voglio. Ho organizzato il corso del primo anno sull’abitazione collettiva a Miraflores, il quartiere in cui sono nato. Cerco d’imporre il parametro unico: poter costruire su tutte le strade perpendicolari al mare con un’altezza limite, e non costruire niente lungo le strade parallele al mare. Se questo parametro fosse applicato, tu torni dopo vent’anni e trovi la città più bella del mondo. Nel corso del secondo anno trattiamo il tema dell’edifico pubblico. Il 50% del lotto viene lasciato libero da costruzioni e l’altro 50% disponibile per fare l’architettura che si vuole. Nell’area libera devi poter piantare un albero alto 8 metri. A questo proposito ho sviluppato un progetto di torre residenziale, nel quartiere di Lima Miraflores (2010), in cui propongo la costruzione di abitazioni triplex, case a tripla altezza, cosa che permetterebbe di avere giardini alti 9 metri. È una ricerca ispirata al duplex del Pavillon de l’Esprit Nouveau di Le Corbusier che amplio a triplex. Mi piacerebbe costruire 7 appartamenti tipo di questa casa per fornire alla città un prototipo che dia l’esempio di come si deve costruire. Sto poi lavorando sul tema delle «quintas», invenzione peruviana di un cortile stretto e lungo in cui la strada sembra entrare dentro il lotto. L’obiettivo è quello di fare una quinta con edifici duplex, di quattro piani, perpendicolari alla strada. Sto poi costruendo per mia moglie Marcela una casa al mare, a pochi chilometri a sud di Lima, in cui sintetizzo un po’ tutte le mie idee sullo spazio continuo, la compresenza di spazi interni ed esterni, le doppie e triple altezze.

Quali azioni occorrerebbe approntare per migliorare una città così grande e caotica come Lima?
Prima di tutto bisogna riconquistare l’amore dei cittadini per la propria città, senza il quale non si può fare niente. Il Perù adesso è un paese pieno di soldi, ma anche di avidità e paura. Oggi a Lima stanno costruendo come se ci si trovasse a Tokyo. È una cosa stupida perchè qui abbiamo molto spazio disponibile. Tutti quelli che hanno un appartamento vogliono fare soldi gratis. A Lima la gente si è autocostruita interi quartieri, come il Cono Nord, senza aspettarsi nulla dallo Stato. Il problema è che la città sta crescendo in modo caotico, senza un piano regolatore. A un certo punto ci sarà bisogno di costruire la Lima verticale. Visto che non c’è una buona idea, sto facendo un lavoro sulle torri residenziali situate nel quartiere Magdalena per quando la società peruviana ne avrà bisogno. Denuncio il lucro. Bisogna coltivare l’utopia che è il limite della realtà.

Perchè a un certo punto della sua carriera ha deciso di chiudere il suo studio a Parigi?
In Francia ho costruito un Palazzo di giustizia a Pontoise: un edificio di 30.000 metri quadrati; una grande opera pubblica. Durante il cantiere si sono succeduti cinque ministri e due presidenti della Repubblica, ognuno dei quali esigeva modifiche al progetto. Il budget enorme per la costruzione dell’opera ha fatto sì che l’impresa costruttrice utilizzasse il sistema nordamericano degli avvocati. Ancora prima di avviare il cantiere, avevo problemi legali con loro. Le imprese guadagnano di più intentando cause che non costruendo. Si presentano alla licitazione soltanto se i propri avvocati vedono spiragli in cui lavorare per chiedere denaro. C’è poi una solidarietà con il cliente, quando è loro complice, e un’ostilità verso gli architetti. Ho dovuto trasferire per tre anni il mio studio vicino al cantiere per far sì che l’edificio costruito assomigliasse al mio progetto. Ho terminato il cantiere con mille problemi e mi promisi che sarebbe stato l’ultimo edificio che costruivo così in Francia. Ho quindi deciso di partecipare a concorsi per progetti più piccoli, al fine di non avere questo tipo di problemi, ma mi dissero che bisognava far lavorare gli architetti più giovani. Ero ormai nella categoria dei grandi progetti, che non volevo più fare, e nei piccoli progetti non mi accettavano più.

Com’è stato il suo ritorno in Perù e la sua nuova vita nella campagna francese?
La cosa che ha cambiato la mia visione del tempo sono i 100 anni compiuti da Oscar Niemeyer. Mi sono detto: perchè no? Se arriverò anch’io a 100 anni, ne ho ancora quasi 30 davanti! È molto tempo. Sto facendo un tipo di vita esemplare. Si può lasciare un paese ricco e una celebrità senza che questo sia un rifiuto del proprio futuro. È un diverso modo d’invecchiare. Non voglio che la gente dica che, visto che ho poco lavoro, mi lamento e sono invidioso. Per questo non abito più a Parigi e ho deciso di andare a vivere in campagna. A Parigi i miei amici mi continuano a chiedere perchè non do più conferenze e non mi presento più ai concorsi. Vivere in campagna mi garantisce la calma necessaria per pensare ai miei progetti peruviani. Vivo nel mezzo della Borgogna dove c’è la carne migliore, il vino migliore e il secondo paesaggio più bello dopo la Toscana. Non crediate che sia masochista. Vivo in un posto bellissimo. Attraverso il web, poi, sono in contatto con il mondo.

Autore

  • Tommaso Cigarini

    Nato a Milano nel 1977, dove si laurea in architettura presso il Politecnico nel 2006 con una tesi in progettazione museografica sull’ampliamento del Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci”. In seguito collabora presso lo studio di architettura Caneva-Conca e, dal 2007 al 2013, presso lo studio dell’architetto Mauro Galantino. Nel 2013 si trasferisce a Lima, lavorando due anni presso lo studio Barclay&Crousse. Dal 2015 lavora in proprio a Lima e insegna Laboratorio di progettazione e museografia presso l'Università UPC di architettura degli interni della capitale. Ha pubblicato articoli su “Casabella”, “Ottagono” e sulla rivista argentina “30-60”.

    Visualizza tutti gli articoli

About Author

(Visited 985 times, 1 visits today)
Share
Last modified: 20 Luglio 2015