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Carlo OlmoWritten by: Forum

Il costruito: da garanzia bancaria a bolla immobiliare

Vivere la crisi non è facile. Tra riti propiziatori più o meno cabalistici, evocazioni millenariste e profezie, dimostrazioni quasi quotidiane di quanto il diritto sia una convenzione, il povero cittadino si domanda sempre più quale forma e figura abbia assunto oggi la razionalità.
Una razionalità certo fragile e provvisoria che però gli consenta di decidere senza giocare a dadi, come si fa dire al Dio di Einstein. Non sembrino considerazioni astratte. Mettiamo in scena, un po’ per gioco un po’ no, due servitori di molti padroni. Il primo servitore prende le vesti dell’imprenditore edile. Dal suo tavolo di lavoro sono via via spariti la tecnologia, il mercato, persino il quadro normativo: lui stesso ha perso il ruolo rassicurante di «cattivo» in commedia, per vedersi trasformato in un portatore d’acqua alle esauste casse comunali. Ma la crisi ha ribaltato persino questa minima consolazione. Il nostro servitore si trova a operare infatti in un quadro economico nel quale persino lo scambio tra opera e credito, fondazione di tutto il sistema bancario italiano, si è sfarinato. L’opera costruita da garanzia bancaria è diventata un rischio che la bolla immobiliare ha segnato con il marchio dell’infamia. Sino a ieri, ad esempio, persino per le imprese industriali era più importante l’archivio immobiliare di quello azionario: oggi quelle stesse proprietà non valgono neanche per tamponare falle create dalla difficoltà di accesso al credito. Il servitore, appena riscattato socialmente da un’aura nefasta, si vede così ripiombato negli inferi come produttore di ricchezze fittizie, anzi di occasioni di peccato: quello dell’infinito gioco del credito sui mutui ipotecari. Senza più una tecnologia rassicurante nella sua stabilità (che anzi ogni giorno deve essere più «green» e «smart»), senza più una domanda in qualche modo standardizzata, garantita dal mercato e con l’ossessione ricorrente della qualità che non può che essere singolare, abbandonato persino dagli amati materiali che mutano in continuazione perché devono rispondere a requisiti «prestazionali» sempre crescenti (quanti sono gli appetiti delle nuove corporazioni professionali della costruzione), il servitore, sempre più infelice, di un numero crescente di padroni è guardato con occhi foschi persino da chi, il sistema del credito, aveva costruito sulla sua attività un po’ eguale e ripetitiva, la sua rassicurante credibilità.

L’imprenditore e il professore: due figure oggi in crisi
Non diversa è la condizione del servitore universitario che cerchi d’individuare il senso del suo lavoro futuro dentro l’università. Di colpo, quella che almeno all’apparenza era la radice stessa del termine schola evapora. Saper insegnare, formare allievi e scolari, essere rispettato e stimato nella società e nella comunità scientifica spariscono persino dalla nomenclatura dei criteri con cui può progettare il proprio futuro: e con loro spariscono, se non per una passione romantica, gli studenti che dovrebbero essere gratificati di studiare in un’università che persino nel nome, research university, li traduce in «carico didattico». Per scadere poi in una commedia da oratorio quando propone loro di dimenticare la lingua (e la cultura) in cui sono cresciuti… Ma il nostro servitore è finalmente arrivato al cielo della valutazione come razionalità possibile per il suo avvenire. Scelta che non può non essere condivisa, come per altro quella di un’architettura sostenibile e intelligente. Il servitore che si vuole affidare a una scelta che ha almeno motivazioni etiche prende allora in mano il nuovo Regolamento (dm n. 76 del 7 giugno) leggendolo con attenzione sino all’allegato b, che dovrebbe normare la sua futura progressione di carriera e, come l’imprenditore, si trova davanti un coacervo quasi inestricabile di principi che condivide e di regole incerte. Il regolamento parla di «prodotti» (il peso delle parole rimane una delle poche certezze che anche una razionalità debole conserva), mediane, idoneità senza numeri, soprattutto di regole i cui fondamenti sono quanto meno discutibili. Ad esempio ogni «prodotto» (che abbia richiesto due mesi o anni di lavoro) appare valere sempre uno: un’omologazione inquietante in un’università che si vorrebbe fondata sulla ricerca. Si parla così di mediane senza che sia garantita la base dei dati su cui si fonda, affidata ai singoli che dovrebbero trascrivere tutti i loro «prodotti»: quasi che un’abilitazione all’insegnamento universitario debba essere meno certificata di una marmitta catalitica. Si prospettano principi sacrosanti (chi giudica deve offrire maggiori garanzie del giudicato) e poi le mediane che consentono di essere commissari e di partecipare all’idoneità sono costruite egualmente. La retroattività è ormai una consuetudine: l’hanno dovuta subire i pensionandi, perché non dovrebbero pagarla i possibili idonei? Ma che questa sia affidata a criteri da fabbrica degli anni trenta è il punto più singolare, come è singolare che il decreto emani una continua sfiducia nei confronti dell’istituzione che dovrebbe aiutare a selezionare i bravi. Il servitore sembra debba sapere che il suo unico, possibile bene, è affidato ad algoritmi, non alla responsabilità di chi giudica. Sarai bravo grazie a un algoritmo: forse neanche Goldoni sarebbe riuscito a scrivere una chiusa delle «Baruffe chiozzotte» più azzeccata.

Autore

  • Carlo Olmo

    Nato a Canale (Cuneo) nel 1944, è storico dell'architettura e della città contemporanee. E' stato preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino dal 2000 al 2007, dove ha svolto attività didattica dal 1972. Ha insegnato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, al Mit di Boston e in altre università straniere. Autore di numerosi saggi e testi, ha curato la pubblicazione del "Dizionario dell'architettura del XX secolo" (Allemandi/Treccani, 1993-2003) e nel 2002 ha fondato «Il Giornale dell'Architettura», che ha diretto fino al 2014. Tra i suoi principali testi: "Le Corbusier e «L’Esprit Nouveau»" (Einaudi, 1975; con R. Gabetti), "La città industriale: protagonisti e scenari" (Einaudi, 1980), "Alle radici dell'architettura contemporanea" (Einaudi, 1989; con R. Gabetti), "Le esposizioni universali" (Allemandi, 1990; con L. Aimone), "La città e le sue storie" (Einaudi, 1995; con B. Lepetit), "Architettura e Novecento" (Donzelli, 2010), "Architettura e storia" (Donzelli, 2013), "La Villa Savoye. Icona, rovina, restauro" (Donzelli, 2016; con S. Caccia), "Città e democrazia" (Donzelli, 2018), "Progetto e racconto" (Donzelli, 2020)

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Last modified: 9 Luglio 2015