Una volta tanto il taxi sapeva dove portarmi. Non cè da stupirsi: a guidarlo era una donna con una laurea in ingegneria arrivata da non molto dalla Siberia. Si dà il caso che, come poi ho saputo, fosse anche unaspirante artista che passava il tempo libero a copiare le opere dei maestri esposte nel Bloch Building di Steven Holl, ampliamento del museo Nelson-Atkins, la mia destinazione. Mentre guidava a 110 km allora, mi ha mostrato il grosso del suo lavoro custodito nel portatile, nelliPod e sugli album da disegno, battendo le mani per lentusiasmo ogni volta che riconoscevo loriginale.
Quel giorno il museo era chiuso, dandomi così la magnifica opportunità di fare una tranquilla visita di tre ore con il primo curatore, Steve Waterman. Pur non conoscendo il numero esatto dei visitatori, Waterman ha calcolato che il nuovo museo ne attira circa 100.000 lanno in più rispetto ai 300.000 precedenti la costruzione dellampliamento.
Negli ultimi cinque anni gli amministratori hanno dovuto affrontare una serie di paradossi e ambiguità che Holl potrebbe aver provocato involontariamente. Quello che li diverte di più è che, nellentrare nella hall, il pubblico perplesso deve scegliere tra lascensore che porta su e la rampa monumentale che porta giù (alla parte prevalentemente sotterranea del Bloch). Invece della rampa la gente prende istintivamente lascensore, perché in questo paese gli ascensori rappresentano lonnipresente modalità di affrontare un edificio. Una volta al piano superiore (lultimo), dove si trova la biblioteca, i visitatori possono ammirare la magnifica rampa monumentale che hanno evitato. Da lì, però, viene offerta loro la clemente opportunità di intraprendere una suggestiva promenade architecturale, perché unaltra lucente rampa bianca sospesa sulla sala li riporta, stavolta a piedi, al punto di partenza.
Quando Mark Wilson, direttore del museo per ventotto anni, è andato in pensione, Julian Zugatagoitia, un basco di Manhattan, ha tentato di risolvere la spiazzante ambiguità della sala dingresso popolando la rampa monumentale con un numero impressionante di sculture di Auguste Rodin (assai apprezzate in America) per attirare il pubblico giù, nel vero museo Bloch. Limpressione è caotica, ma il direttore giustifica la decisione mettendo in risalto l attuale moda populista dei musei, ovvero interagire con il pubblico invece di ostentare un distaccato atteggiamento elitario.
Una volta giunti nel seminterrato, i visitatori sono accolti da annunci e manifesti, aggiunti di recente, altrettanto caotici (la resa di Holl in questo tipo di ampliamenti non sempre è felice), appesi sopra un nuovo punto accoglienza. Lì si viene informati che si può scegliere di uscire dal museo Bloch per visitare lala Nelson-Atkins adiacente del 1933, magnificamente restaurata e modificata, o procedere nelle viscere del Bloch, visibile dallesterno solo grazie agli iconici cinque «lucernari» bianchi, unica fonte di luce naturale.
Al capo opposto delledificio unaltra funzione irrisolta: la parte del museo che era stata pensata come ristorante è inutilizzata. Il motivo potrebbe essere la distribuzione, per altri versi splendida, dei cinque «lucernari» nel parco: laccesso al ristorante è infatti tuttaltro che evidente. Un ulteriore paradosso dei due musei, che vantano una democratica «porosità», sono i numerosi accessi non convenzionali tuttintorno alledificio (lingresso è gratuito), progettati per facilitare linterazione spaziale del pubblico con il grande parco delle sculture che lo circonda. Invece di invitare la gente, però, questo aspetto complica la scelta del punto da cui entrare e di come cominciare la visita. Altrettanto spiazzante è leliminazione dellex parcheggio che serviva il vecchio museo, sostituito da un imponente garage sotterraneo. Holl e Walter de Mond lo hanno trasformato in unenorme distesa dacqua che, di notte e di giorno, riflette con esito spettacolare ledificio Bloch. La scomparsa dellonnipresente parcheggio che la gente è abituata a vedere davanti ai musei comunica lagghiacciante sensazione che la struttura non abbia visitatori.
Infine gli spazi disegnati da Holl, impeccabili e puri dal punto di vista architettonico, soccombono alle attuali aspettative di un museo più caotico. Forse bisogna ancora inventare una cultura radicalmente nuova dello spazio artistico pubblico del ventunesimo secolo, «sostenibilità» compresa, un aspetto che Holl non ha preso in considerazione anche se le costruzioni sotterranee contribuiscono senza dubbio alla mitigazione climatica.
A ogni modo, nel salutarmi allaeroporto, la tassista russa mi ha abbracciato con trasporto, lasciandomi con il sogno che sia possibile anche una nuova cultura del taxi.
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