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Written by: Inchieste

4 protagonisti giudicano la loro città

CARLO QUINTELLI, Direttore del Festival dell’architettura

Come è possibile che una città con sollecitazioni di vario tipo, come ad esempio il Festival dell’Architettura che annualmente porta esempi e riflessioni sulle buone pratiche progettuali, sulle esigenze dell’utenza, sulle realtà mondiali ecc., non abbia tratto alcuna lezione e sia caduta nella maglia del malaffare? 
Il problema del malaffare è semplicemente il sintomo di una caduta dell’etica civile che deriva a sua volta dall’impoverimento culturale. La civitas è innanzitutto un laboratorio delle idee da cui derivano pratiche gestionali, sociali, economiche, estetiche che si alimentano di valori condivisi all’interno di una dialettica delle diversità. Senza voler generalizzare, direi che a Parma questo laboratorio della città è venuto meno e molto spazio è stato occupato da incompetenza e presunzione, un clima che ha poi facilitato episodi di devianza. In questo quadro il Festival è sempre stato visto più come uno dei tanti fattori di attrazione per l’immagine della città che non come un contributo all’orientamento delle scelte della trasformazione urbana.
Che cosa pensa dei progetti a grande scala urbana affidati a importanti big dell’architettura? 
La strategia urbana alla scala europea si gioca oggi, ancora una volta, tra le grandi città-mondo, secondo l’analisi storico-economica di Immanuel Maurice Wallerstein, ma anche tra reti di città medio-piccole con un forte coinvolgimento territoriale, secondo una tradizione già presa in esame da Fernand Braudel. Si può allora pensare a una Parma europea, che peraltro è sede dell’Efsa (l’agenzia europea per la sicurezza alimentare), senza guardare al potenziale sinergico del sistema policentrico delle città dell’Emilia occidentale, quello che spesso mi piace definire con il toponimo di «Cittàemilia»? Contrariamente a questa vocazione, il neo-campanilismo di questi ultimi anni, attraverso un’idea stereotipata di modernità mutuata dai modelli del mercato globale dell’architettura, ha cercato d’illudere la città portandola al contrario verso una dimensione sempre più isolata e provinciale. E non è certamente sufficiente coinvolgere i «big dell’architettura» per qualificare una città al ruolo europeo. Se non c’è conoscenza sulla natura dei bisogni e dei caratteri, se non c’è approfondimento interpretativo e un progetto paziente accompagnato dall’azione partecipativa, si può anche ottenere un primo immediato effetto mediatico, per poi però scoprire di aver sbagliato.
Come vede il futuro della città, vi è una progettualità giovanile che potrebbe farsi carico di esperienze significative? Il Festival continuerà a dare il proprio contributo in tal senso? 
Il problema è che oggi viviamo in un clima di contrapposizione dove da una parte ci sono le inerzie di coloro che tendono a minimizzare o giustificare i problemi di una politica della trasformazione urbana gratuitamente espansiva, senza disegno e contrappuntata di velleità progettuali, mentre dall’altra si rileva una reazione di protesta radicale incapace di utilizzare strumenti di lettura diversi da quelli della demonizzazione di ogni opera costruita, considerata comunque e sempre «cementificatrice». Si tratta di due facce di una stessa medaglia che non consente alla città di emanciparsi dal recente passato, rigenerandosi attraverso una dialettica senza pregiudizi su una prospettiva di trasformazione che non può che essere di nuova cultura urbana. I giovani, architetti e non solo, hanno il dovere, oltre che il diritto, di farsi attori di questo processo nuovo. In questo senso il Festival propone un titolo per la nuova edizione «Economia della forma urbana. Italia-Europa» che allude alla necessità di concentrarsi sulla città esistente, dando però forma e senso ai processi di trasformazione di un corpo urbano che non possiamo considerare come sola immagine o manufatto edilizio. A partire da Parma.

ALESSANDRO TASSI CARBONI, Presidente Ordine degli Architetti della Provincia di Parma

La città nei mesi scorsi si è trovata al centro di una grande kermesse mediatica e giudiziaria. Come l’Ordine degli architetti ha vissuto questa vicenda? Ne è stato coinvolto?
Assistere al triste spettacolo di una città additata, a fronte di generalizzazioni mediatiche spesso sommarie, quale centro di corruzione e malaffare non è certamente piacevole, soprattutto quando si attribuisce all’immagine un valore preponderante rispetto alla sostanza delle cose. D’altra parte, il rigore con il quale sono stati improntati i nostri rapporti con l’amministrazione, informati sempre alla massima collaborazione ma sottoposti a una ferrea distinzione di ruoli e responsabilità, ci consente oggi di attraversare questo clima da resa dei conti evitando ogni sterile polemica e mantenendo la capacità di dialogo con ogni componente cittadina. L’Ordine ha cercato di sensibilizzare il Comune con le sue iniziative o con «controlli di qualità» verso buone pratiche?
In questi ultimi anni abbiamo intensamente stimolato l’amministrazione e da questa siamo stati per lo più corrisposti in modo utile e proficuo, nonostante gli esiti. Credo che la macchina comunale troppo spesso abbia accolto le nostre proposte più per convenienza speculativa che per reale convincimento. Da ciò discende che l’attuazione dei vari progetti condivisi non ha inciso in modo strutturale nella crescita di una consapevole cultura urbana. Adottare forme di partecipazione della società civile per maturare le scelte politiche può rappresentare il vero salto di qualità e ci auguriamo che questo metodo possa essere assunto dalla futura amministrazione (anche se leggiamo segnali non sempre positivi). Infatti chi ha il compito di governare interpreta la partecipazione come quel processo che genera un’implementazione del consenso o, meramente, è funzionale alla riduzione del contenzioso sociale. Mai quale ascolto attivo e responsabile delle istanze e dei saperi che la comunità sa esprimere.
Che cosa pensa dei progetti a grande scala urbana affidati a importanti big dell’architettura: sono eventi di pubblicità o vi è una precisa volontà di avere «una futura metropoli»?
La presenza di grandi architetti stranieri può solo arricchire la città. Il problema non sono gli incarichi conferiti alle archistar, quanto l’obiettivo che l’autorevolezza di tali personalità dovrebbe tacitare ogni possibile dissenso trascurando l’approfondimento dei contenuti ed evitando accuratamente ogni confronto sulle idee. A ciò si aggiunga l’endemica carenza della pubblica amministrazione a compiere seri atti di programmazione: l’urbanistica, ad esempio, viene vista con crescente insofferenza, quale vincolo alle irrefrenabili aspirazioni del sindaco di turno d’imprimere un indelebile marchio a memoria del suo passaggio. Attraverso queste brevi note è impossibile rendere merito della complessità delle azioni intraprese. Preferisco quindi lanciare uno sguardo al futuro che, con prudente ottimismo, voglio immaginare migliore di quanto ci lasciamo alle spalle. L’Ordine ha lanciato una grande iniziativa riguardante il recupero e il riuso degli edifici della città rilevanti per valore architettonico o collocazione, attualmente male utilizzati o addirittura abbandonati. Gli architetti di Parma considerano questa incuria ormai insopportabile anche a fronte di un’incontrollata campagna di nuove urbanizzazioni. Durante il primo di una lunga serie di appuntamenti saranno coinvolti tutti gli attori della città con l’obiettivo di aprire un dibattito finale in grado di raccogliere le aspettative, le idee e le necessità per il recupero architettonico degli edifici stessi e per la trasformazione socio-culturale delle loro aree limitrofe.

IVO IORI, Preside della Facoltà di Architettura di Parma

Nata nel luglio 1999, la Facoltà conta 1.500 studenti e una trentina di docenti; è al momento attiva una commissione per accorpare, come chiede la legge Gelmini per la «razionalizzazione» universitaria, il Dipartimento di Ingegneria civile e architettura con quello di Scienze della terra.

Professor Iori, che ruolo ha avuto la facoltà in questi anni nel sensibilizzare verso le buone pratiche gli enti pubblici e il settore edilizio e urbanistico? 
Soprattutto attraverso la natura didattica e la ricerca, nonché le lauree, la facoltà ha sicuramente aumentato la consapevolezza dell’importanza dell’architettura a Parma. Per quanto riguarda il rapporto diretto, come avviene anche altrove, da parte della società locale secondo me c’è stata una sorta di visione circospetta: in genere la città impiega tempo per metabolizzare i messaggi anche di sensibilizzazione.
E il malaffare degli ultimi tempi, allora?
L’ho vissuto con dispiacere, con gli stessi sentimenti di quando sento di sperperi e malaffare urbanistico in qualche città. Non ne farei un problema solo locale.
Qual è l’aiuto di Architettura per il futuro della città e dei giovani architetti?
È di natura duplice. Da un lato occorre aumentare il livello della conoscenza in architettura attraverso strumenti sempre migliori per permettere di operare bene, dall’altro bisogna mandare messaggi di natura etica e morale visto che il rapporto tra architettura, istituzioni e territorio è stretto ed è attraversato da componenti di questa natura. Se noi riuscissimo a migliorare in ciò otterremmo un grosso risultato. 
(Stefano Luppi)

DARIO COSTI, Presidente di Parma Urban Center

Come l’Urban center vede lo sviluppo della città e l’uso del suolo nelle sue aree extramoenia? 
L’Urban center a Parma nasce nel 2008, in un momento in cui lo slancio verso l’esterno denunciava i suoi limiti e la crisi iniziava a manifestarsi. L’attività entra nel vivo nel 2010 con l’attribuzione di una sede per attività espositive e conferenze nell’ex oratorio di San Quirino. Da allora la nostra azione è diventata sistematica e si è concentrata, tra le altre iniziative, sulle potenzialità della città costruita, sottolineando come la riqualificazione energetica degli edifici fosse anche una straordinaria occasione di riqualificazione urbana e architettonica. Una precisa scelta di campo.
L’Urban center è riuscito a sensibilizzare l’amministrazione comunale verso le buone pratiche? 
Nel 2010 Parma ha avviato la redazione del nuovo Psc, affidato a Caire (cooperativa Architetti e Ingegneri) e Richard Burdett, concentrato sulla riqualificazione urbana e sull’obiettivo della crescita zero. L’Urban center ha accompagnato l’elaborazione del preliminare attraverso una mostra, una pubblicazione e incontri tematici. In parallelo il nostro centro studi ha svolto un’analisi metaprogettuale dei quartieri produttivi della città mettendo in luce il processo spontaneo di terziarizzazione, segnalando le occasioni di apertura dei recinti dei comparti al tessuto circostante. Un lavoro integrato di discussione, ma anche un’azione autonoma di prefigurazione di scenari d’intervento per l’amministrazione. Penso alla conferenza di Andrea Sciascia con la presentazione delle «Linee guida per la riqualificazione e l’aggiornamento del patrimonio di edilizia pubblica», elaborate per il Miur, seguita da un tavolo di discussione a cui hanno partecipato Acer, Ance, LegaCoop, Ordini, amministrazioni regionali, provinciali e comunali. Incontri simili non erano mai avvenuti. Sono diventati una costante del nostro lavoro, contributo utile al dibattito sul futuro della città. È quello che chiamiamo un «tavolo informale» di confronto sulle questioni urbane.
Che cosa pensate di fare per migliorare le scelte per lo sviluppo futuro della città?
L’unico spazio possibile di trasformazione è la struttura insediativa esistente, innanzitutto gestendo le iniziative già avviate, ma senza rinunciare a pensare al futuro e a prefigurare scenari strategici. Penso alla questione irrisolta della mobilità pubblica, che potrebbe essere la nuova spina dorsale di un corpo urbano oggi non in perfetta forma, oltre che la condizione perché la città possa essere partecipe di uno scenario metropolitano e policentrico. L’Urban center ha continuato, anche in questi mesi d’interregno, il proprio programma di lavoro da sempre strettamente legato alle condizioni contestuali, ma al tempo stesso orgogliosamente autonomo da condizionamenti politici e amministrativi. Proseguiamo le iniziative culturali che incrociano arte, fotografia, rappresentazione del paesaggio e della città, presentazione di progetti, conferenze tematiche. Attendiamo, però, la nuova amministrazione comunale per rendere più efficace e incisiva la nostra azione, che continuerà a essere al contempo critica e collaborativa, integrata ma indipendente.

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Last modified: 9 Luglio 2015