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Allestimento low cost (e low profile) per l’architetto del potere sovietico

Allestimento low cost (e low profile) per l’architetto del potere sovietico

Mosca. Boris Iofan (1891-1976), primo autore del principale edificio (mai portato a compimento) della Mosca staliniana, è figura singolare nel panorama sovietico. Le origini ebraiche gli impediscono l’accesso alle principali istituzioni russe. Terminata la Scuola artistica nella nativa Odessa, Boris lavora per qualche tempo a Pietroburgo, con il fratello e presso l’illustre architetto neoclassico Aleksandr Tamanov (Tamanjan). Nel 1914 decide di completare la propria formazione professionale presso la Scuola delle Belle arti di Roma. Il soggiorno è un passaggio decisivo nella sua formazione, come testimoniano le diverse opere realizzate (la cappella Ambrogi a Roma, la centrale di Tivoli, il cimitero monumentale di Narni) o progettate (ambasciata sovietica), ma anche il rapporto che intratterrà per tutta la vita con la coeva architettura italiana.
Membro del partito comunista italiano, Iofan torna in patria nel 1924 dopo l’ascesa del fascismo, motivato in ciò da Aleksej Rykov, conosciuto a Roma e subentrato a Lenin alla testa dello stato sovietico. Nonostante il solido appoggio, non si afferma nel concorso per il mausoleo di Lenin (in mostra una soluzione ispirata agli edifici sepolcrali ellenistici), ma il lavoro non tarda ad arrivare e nei primi anni realizza edifici d’abitazione e insediamenti abitativi operai che dimostrano affinità con il quartiere della Garbatella (il complesso sulla ulica Ruzakovskaja che ancora oggi i residenti chiamano «le case italiane»).
La vera svolta nella carriera giunge con l’incarico per il sanatorio governativo di Barvikha (1927-1929), dove egli prende le distanze dalle reminescenze mediterranee e s’indirizza con decisione verso il Movimento moderno. In questo linguaggio viene sviluppato anche il progetto di villa «borghese» il cui committente è ignoto ma si può supporre sia lo stesso Rykov che, da presidente del Sovnarkom dell’Urss, lo incarica dell’edificio residenziale governativo (la celebre «Casa sul lungofiume»). Nel dicembre 1930 Stalin rimuove Rykov dall’incarico di vertice, per le sue posizioni contrarie all’industrializzazione forzata, ma il cantiere è ormai in fase avanzata e Iofan aveva consolidato il ruolo di «architetto del potere».
Il grandioso complesso della Casa del governo, cui la mostra dedica ampio spazio, manifesta una chiave monumentale che non è dato riscontrare in altre opere sovietiche coeve. Proprio in questo si esplicita il bagaglio culturale italiano dell’autore: non a caso un esempio assai vicino è rappresentato dagli interventi di Mario de Renzi sul viale xxi aprile a Roma. Con la realizzazione dell’edificio a tre corti per 505 alloggi, che incorporava un cineteatro, un club, negozi, spazi per le attività sportive, un ristorante, un giardino d’infanzia e altri servizi, Iofan acquisisce un’esperienza unica, sul piano nazionale, nel campo delle costruzioni colossali, di carattere polifunzionale. Di qui il suo ruolo dominante nel triumvirato formatosi tra i vincitori del concorso del 1930-1933 per il Palazzo dei Soviet: Iofan, ?S?cuko, Gel’frejkh.
I padiglioni dell’Urss alle Esposizioni universali di Parigi (1937) e New York (1939) gli conferiscono notorietà internazionale e convertono il tema consolidato del palazzo in quello dell’edificio-basamento, mentre i progetti per Mosca, il kombinat del quotidiano «Izvestija» e il complesso dell’Accademia delle scienze pongono le basi della nuova Mosca al cui centro avrebbe dovuto dominare con i suoi 400 m la torre del Palazzo dei Soviet.
Installatosi nell’alloggio-atelier, enorme per le condizioni sovietiche, in cima alla Casa del governo, Iofan continua a elaborare il progetto del principale edificio istituzionale del paese, mentre osserva l’avanzare del cantiere cui segue, allo scoppio della guerra, il parziale smantellamento. Più tardi vedrà sorgere, al posto della sua creatura, una grande piscina a cielo aperto: il sogno frantumato non gli darà mai tregua. Negli anni sessanta e settanta continua a progettare sia nuove varianti del Palazzo dei Soviet (assai più modeste dell’originario), sia altri edifici in sua vece. L’edificio amministrativo di grande elevazione sulle colline Lenin (o dei passeri) avrebbe dovuto essere una sorta di premio di consolazione, ma anche questo gli viene sottratto quando inizia a montare una nuova ondata di antisemitismo di stato.
I progetti di Iofan nel campo dell’edilizia industrializzata di massa, presentati nell’ultima sala, tra cui uno studio di edificio «a cinque piani» con pannelli in plastica, possono essere difficilmente considerati in modo serio: un castigo per la superbia, sebbene la gigantomania del Palazzo dei Soviet fosse espressione delle ambizioni non dell’architetto ma del suo committente, il «grande architetto» Stalin.
La mostra rappresenta senza dubbio un grande evento. Il Museo di architettura, detentore di ricchissime collezioni, continua a mostrarle nell’unico modo consentito dai limiti degli spazi espositivi, attraverso l’avvicendamento di manifestazioni temporanee. Accanto a materiali noti, sono presentati documenti inediti, restaurati per l’occasione. Tutto ciò è positivo, ma evidenti sono anche i limiti che riflettono la condizione attuale del Museo, che soffre da tempo d’inadeguati finanziamenti. Le cornici economiche e la qualità del vetro non esaltano i quadri appesi, mentre l’allestimento lascia forti perplessità. I timidi passi verso approcci espositivi contemporanei (il podio con oggetti originali dell’architetto, schermi che proiettano materiali video) apportano informazioni ma non hanno una coerenza formale. È palese la carenza di supporto economico ma anche di creatività che potrebbe compensare la scarsità dei mezzi. In ultimo, si percepisce l’assenza di un comitato scientifico internazionale in grado di recepire gli esiti delle recenti ricerche storiografiche.
«Boris Iofan. L’architetto del potere», Museo statale di architettura ?S?cusev, Mosca, fino al 26 febbraio

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Last modified: 21 Luglio 2015