Negli ultimi mesi molti studiosi hanno sottolineato lurgenza di fermare o almeno rallentare la trasformazione di suolo agricolo e naturale in suolo urbanizzato. La salvaguardia, la cura e la riqualificazione dei grandi spazi aperti è apparsa a molti storici e conservatori come condizione necessaria anche se non sufficiente di tutela del nostro paesaggio storico e precondizione di un modello di sviluppo più attento al ruolo che in esso possono giocare i beni culturali; ma è apparsa anche a molti urbanisti e architetti come punto di partenza di una riqualificazione dei paesaggi contemporanei focalizzata sul progetto di suolo, su unarchitettura a volume zero, del riuso e del riciclo. Larresto del consumo di suolo e della frammentazione degli spazi aperti, che si realizza prevalentemente sulle terre di pianura più fertili, per molti agronomi, ecologi, biologi, geologi, idraulici è una mossa urgente per non penalizzare ulteriormente il settore agricolo, per non incrementare leffetto serra, per mantenere lelevato livello di biodiversità e per evitare quella impermeabilizzazione che assieme a una più attenta gestione del bosco di ritorno sulle terre agricole marginali e a un riordino degli insediamenti esistenti è la misura strutturale per ridurre il dissesto idrogeologico ed evitare i ricorrenti disastri ambientali. Parimenti, alcuni economisti hanno sottolineato come la competitività delle nostre urbanizzazioni passa per una loro ricapitalizzazione, per una loro reinfrastrutturazione e per un loro ridisegno qualitativo e non su una crescita estensiva dellurbanizzato che porta invece a costi di gestione delle reti sempre più elevate e alla realizzazione dinfrastrutture banali. Un punto di vista che sincontra con chi, nel campo delle politiche dei trasporti, insiste più sulla necessità dinterventi di manutenzione straordinaria, di piccole opere diffuse e dinnovazione di gestione, che non di faraoniche nuove infrastrutture. Infine, alcuni urbanisti e geografi hanno sottolineato come le attuali dinamiche espansive dellurbanizzazione non siano più legate a una consistente crescita demografica ed economica e a un epocale riassetto della geografia del popolamento e delle imprese, che in passato si sarebbe dovuto orientare ma non certo ostacolare, ma da una spirale dove negli stessi territori abbandono e sottoutilizzo di suoli già urbanizzati si affiancano a nuove urbanizzazioni che consumano suolo. Una spirale alimentata, dal lato dellofferta, da piani urbanistici che rispondono solo a valutazioni di bilancio e di consenso a brevissimo periodo e, dal lato della domanda, dal riversarsi nelledilizia di capitali non più reinvestiti in attività industriali competitive, nonché da flussi consistenti di risorse provenienti dalleconomia illegale. Una spirale che determina esiti devastanti sulla vivibilità delle nostre urbanizzazioni.
Daltra parte, la congiuntura economica che sta investendo il nostro paese ha portato in modo diffuso a interrogarsi su come reperire risorse non solo per ridurre i livelli dindebitamento (senza però penalizzare oltre modo il lavoro e linvestimento), ma anche per promuovere una politica di sviluppo. La lotta alle rendite, e tra queste la vecchia rendita fondiaria, appare allora non solo come una prospettiva di politica economica ampiamente condivisa (almeno in apparenza), ma anche come la possibile congiunzione tra esigenze di risanamento e sviluppo economico del nostro paese e le precedenti riflessioni.
Il decreto «salva Italia» e gli annunciati provvedimenti a favore della crescita da parte del governo Monti non solo non paiono del tutto convincenti rispetto alla difficile inquadratura tra «rigore, equità e sviluppo», ma non sembrano ancora annunciare una nuova stagione dincontro tra le misure per lo sviluppo e unattenzione alla qualità dellambiente costruito e naturale che allinei le nostre politiche urbanistiche e ambientali a quelle dei paesi europei, facendo propria unidea di sviluppo che non coincida con la crescita del Pil e preveda infrastrutture effettivamente in grado di riqualificare il nostro territorio. Proviamo allora a delineare una serie di misure che il governo, qualora lo volesse, potrebbe intraprendere per catturare una quota della rendita fondiaria e per «salvare il suolo» sintesi di natura e storia e base materiale del nostro paese.
1.
La previsione di nuove aree despansione non può più essere definita in maniera esclusiva dalle amministrazioni comunali, ma devessere materia di decisione congiunta di comuni e regioni/province e alcune strutture statali (soprintendenze e autorità di bacino). In primo luogo perché lo spazio aperto va inteso come un bene ambientale e paesistico, la cui tutela è costituzionalmente esercitata da regioni e Stato. In secondo luogo poiché la riorganizzazione urbanistica delle aree produttive, dinfrastrutture e attrezzature (lunica che può esprimere una domanda che non può trovare risposta nel riuso e riciclo dello spazio già urbanizzato) deve procedere, come in quasi tutta Europa, alla scala delle nuove più estese conurbazioni.
2.
Superate le logiche particolaristiche nel consumo di suolo va però evitata ogni espropriazione verticistica del suolo non urbanizzato, che è un bene comune. Pertanto ogni soggetto deve poter promuovere una class action in sua difesa secondo lo schema previsto dalla Commissione Rodotà sui Beni pubblici, ad esempio qualora la previsione di nuove urbanizzazioni avvenga in contesti caratterizzati da aree di espansione pregresse inattuate, o dalla presenza di aree dismesse, o da infrastrutture che non paiono di pubblica utilità.
3.
Per lenorme quantità di suoli non ancora urbanizzati, ma previsti come edificabili dai piani vigenti e comunque anche per le urbanizzazioni private del punto precedente va prevista unimposta da applicarsi quando queste previsioni di edificabilità verranno attuate. Essa deve risarcire le popolazioni locali della rinuncia di una risorsa ambientale a scapito della presente e delle future generazioni. Nello stesso tempo deve riequilibrare il costo-opportunità dellinvestimento privato immobiliare sui green field rispetto ai brown field, favorendo questi ultimi. Limposta deve assommare i differenziali medi di valore nellacquisto delle aree e i costi di demolizione e smaltimento delle macerie.
4.
Le risorse così acquisite devono essere per metà destinate alla riqualificazione dello spazio già urbanizzato (interventi di risanamento dei centri storici e dei monumenti, realizzazione dinfrastrutture innovative quali teleriscaldamento, reti a bande larghe, corsie protette per il trasporto pubblico, metrotranvie, ecc.), ma anche per la semplice manutenzione straordinaria delle infrastrutture tradizionali (scuole, sedi stradali, reti fognarie, idriche, ferroviarie), nonché per un contributo pubblico alle bonifiche di aree dismesse inquinate da riurbanizzare. Per laltra metà vanno destinate alla riqualificazione degli spazi aperti: realizzando parchi e reti verdi, garantendo manutenzioni alle aree archeologiche, sostenendo lagricoltura periurbana, rinaturalizzando bacini fluviali, ecc.
5.
Per tutte le urbanizzazioni private, ma anche per le opere pubbliche che comportano consumo di suolo, va inoltre prevista una misura di compensazione ambientale sul modello della legislazione tedesca. Per ogni superficie urbanizzata va prevista la cessione o il convenzionamento di pari superfici valorizzate in senso ecologico-paesistico. Nei territori periurbani di pianura queste compensazioni dovrebbero riguardare aree attrezzate ex novo con prati e boschi fruibili, agricoltura urbana e greenways; nelle aree di collina e montagna dovrebbero riguardare unazione straordinaria di cura e manutenzione dei sentieri, dei boschi e dei prati stabili. Tali compensazioni daltra parte debbono essere la premessa finanziaria di una progettazione integrata di reti verdi e di reti di comunicazioni, secondo standard europei.
6.
Per ogni previsione di piano e per ogni intervento integrato che si realizza nello spazio già urbanizzato che prevede la trasformazione da usi produttivi ad altre più redditizie utilizzazioni o incrementi volumetrici è necessario realizzare un equo riparto della rendita garantendo un certo grado dindifferenza e concorrenza. Lattuale concertazione a scala comunale e «caso per caso» di oneri o opere aggiuntive da realizzare non ha sempre garantito un riparto sufficiente a favore del pubblico, non ha garantito indifferenza (anzi è spesso stato alla radice di fenomeni collusivi e corruttivi) e ha minato la concorrenza. A tal fine va previsto un onere di urbanizzazione aggiuntivo definito in sede regionale teso a intercettare a vantaggio del pubblico metà della rendita differenziale cosi realizzatasi e da destinarsi a opere infrastrutturali e ambientali. Nello stesso tempo gli oneri di urbanizzazione vanno ridestinati alle sole spese dinvestimento.
7.
In tutte le aree sottoposte a pianificazione attuativa una quota della volumetria totale devessere destinata a edilizia convenzionata o sociale, nelle forme che si sono dimostrate da più di un decennio efficaci e virtuose in Francia e che già trova applicazione in alcuni comuni italiani. Questo provvedimento garantisce che la domanda di edilizia sociale e convenzionata non diventi il cavallo di Troia di nuovo scriteriato consumo di suolo. Esso inoltre favorisce una mixitè sociale allinterno di ogni intervento.
8.
In molti casi lurbanizzazione pregressa ha investito aree particolarmente sensibili da un punto di vista paesistico e/o ambientale: si è costruito negli alvei dei fiumi, o a ridosso di siti archeologici e monumentali, o a pulviscolo nelle campagne ormai intercluse nellurbanizzato. Per sanare queste situazioni va prevista lesenzione dagli oneri di urbanizzazione e di costruzione e da ogni altro carico fiscale e un premio volumetrico per tutti i trasferimenti volumetrici da queste aree sensibili ad aree di caduta più appropriate. Una misura che tuttavia non può applicarsi nel caso di edificazioni abusive non condonate.
9.
Lultima misura introduce un criterio di compensazione tra comuni ambientalmente virtuosi e comuni che non ridimensionano le precedenti previsioni di espansioni e/o con elevati livelli di urbanizzazione. Tale criterio di perequazione territoriale dovrebbe applicarsi a una quota parte degli oneri di urbanizzazione raccolti dai comuni «consumatori di suolo» e dei trasferimenti statali verso i comuni con forte livello di urbanizzazione. Le risorse così raccolte dovrebbero essere finalizzate alle sole spese di cura del territorio non costruito dei comuni virtuosi, in parte comuni di montagna e collina, magari di grande estensione territoriale e spopolati, da cui dipende buona parte dellequilibrio idrogeologico e del bilancio del carbonio del nostro paese.
Articoli recenti
- Piazza Augusto Imperatore, la magia romana del piano inclinato 9 Luglio 2025
- Osaka, strani sogni per il post-Expo 9 Luglio 2025
- Andrea Bruno (1931-2025) 9 Luglio 2025
- L’archiviaggio. Ponente ligure tra architettura, speculazione e lusso 9 Luglio 2025
- Marucci: Camerino, fortino della cultura urbana 7 Luglio 2025
- Barcellona, le sorprese di Casa Batlló: ecco i colori di Gaudì 4 Luglio 2025
- Oltre l’algoritmo: morfologia, cittadinanza, trasformazione 2 Luglio 2025
- Architettura e fascismo, storie di un’eredità complessa 2 Luglio 2025
- Gli edifici del futuro: smart home e domotica 2 Luglio 2025
- Expo di Osaka, i padiglioni nazionali: meraviglia e disorientamenti 1 Luglio 2025
- Michele Talia confermato presidente dell’INU 30 Giugno 2025
- Sobria ed eterea, Grace è la nuova collezione Keope ispirata al limestone 27 Giugno 2025
- Riqualificazione energetica: tutto quello che devi sapere sugli incentivi 26 Giugno 2025
- Bunker, paure, tanti progetti. Così sta cambiando Tel Aviv 25 Giugno 2025
Tag
Edizione mensile cartacea: 2002-2014. Edizione digitale: dal 2015.
Iscrizione al Tribunale di Torino n. 10213 del 24/09/2020 - ISSN 2284-1369
Fondatore: Carlo Olmo. Direttore: Michele Roda. Redazione: Cristiana Chiorino, Luigi Bartolomei, Ilaria La Corte, Milena Farina, Laura Milan, Arianna Panarella, Maria Paola Repellino, Veronica Rodenigo, Cecilia Rosa, Ubaldo Spina. Editore Delegato per The Architectural Post: Luca Gibello.
«Il Giornale dell’Architettura» è un marchio registrato e concesso in licenza da Società Editrice Allemandi a r.l. all’associazione culturale The Architectural Post; ilgiornaledellarchitettura.com è un Domain Name registrato e concesso in licenza da Società Editrice Allemandi a r.l. a The Architectural Post, editore della testata digitale, derivata e di proprietà di «Il Giornale dell’Architettura» fondato nell’anno 2002 dalla casa editrice Umberto Allemandi & C. S.p.A., oggi Società Editrice Allemandi a r.l.
L’archivio storico
CLICCA QUI ed effettua l’accesso per sfogliare tutti i nostri vecchi numeri in PDF.
© 2025 TheArchitecturalPost - Privacy - Informativa Cookies - Developed by Studioata