Vienna. Sono accolti da queste parole di Glenn Murcutt i visitatori della mostra dedicata allopera dellarchitetto australiano, nato a Londra nel 1936 e vincitore del premio Pritzker nel 2002. Una dichiarazione dintenti che descrive in maniera semplice quanto esemplare la poetica che sta alla base della prolifica carriera di Murcutt, basata sulla lettura e comprensione del paesaggio. Le spiegazioni dei progetti esposti iniziano infatti riportando le caratteristiche ambientali e climatiche del sito; si scopre così come le opere di Murcutt attraversino i differenti scenari del paesaggio australiano, dai 1.000 metri di quota della Simpson-Lee House (Mount Wilson, New South Wales) del 1993 alla Marika-Alderton House (Eastern Arnhem Land, Northern Territory) del 1994, sul mare, passando attraverso i 20 metri slm dellArthur and Yvonne Boyd Art Centre (Riversdale, West Cambewarra), concluso del 1999 e che rappresenta, con le sue dimensioni imponenti, un progetto inusuale per un autore solitamente dedito a unarchitettura residenziale, gelosamente attento alla dimensione artigianale e al personale controllo fino allultimo dettaglio dellintero progetto.
Nella mostra sono infatti presentati i maggiori progetti, selezionati tra un corpus di 500 opere, in cui Murcutt ha prevalentemente lavorato da solo, disegnando a mano le soluzioni che hanno contribuito a renderlo, nonostante una strenua e ricercata lontananza dallo star system, uno degli architetti più pubblicati degli ultimi anni. I materiali esposti, tra i quali modelli di sezioni in legno racchiuse in scatole di plexiglas a supporto delle note tecniche di progetto, restituiscono infatti limmagine di un fare architettura che si potrebbe definire di artigianale riflessione, come testimoniano i disegni a mano originali per la Magney House a Bingie Point (New South Wales, 1984) o il Boyd Centre, veri e propri strumenti di controllo dellintero processo, dallo schizzo iniziale al disegno di dettaglio.
Il direttore dellArchitekturzentrum parla di «slow architecture» a proposito della mostra e della precedente rassegna dedicata ad Alexander Brodsky, a indicare una posizione ai margini dellattuale sovraesposizione mediatica degli architetti. Espressione che, in questo caso, rischia però di tralasciare aspetti fondamentali dellopera di Murcutt, ossia uninequivocabile capacità compositiva e abilità nel modulare spazi in base agli elementi naturali del contesto. Come dimostra il video di accompagnamento alla mostra, Architecture for place dove Murcutt, a proposito della Magney House, parla di sistema in grado di modificare parte della sua atmosfera interna in base alluso che i proprietari intendono fare in un preciso istante. Testimonia invece la sua capacità di confrontarsi egregiamente anche con la grande scala il progetto del Boyd Art Centre, dove lautore rielabora parzialmente il proprio vocabolario, nello specifico i sistemi per la facciata della Marika-Alderton House, facendo della residenza per artisti e studenti una magnifica piattaforma di osservazione e interazione con il paesaggio.
Architettura sostanzialmente costruita, lopera di Murcutt conta però anche progetti rimasti sulla carta in cui affiorano tematiche ricorrenti, come nella Moschea di Newport a Victoria in cui rielabora gli elementi simbolici della religiosità e del raccoglimento.
Nonostante la necessaria selezione operata allinterno di un vastissimo repertorio, la mostra (che dopo Vienna andrà a Lubiana, Bruxelles e Helsinki) offre con chiarezza la possibilità di accostarsi al modus operandi di uno tra i più autorevoli protagonisti della produzione contemporanea.
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