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Written by: Inchieste

Gli attori publici: che cosa fanno le aziende territoriali per la casa

Le Aziende casa (così si chiamano oggi molti degli ex Iacp) rappresentano tuttora soggetti chiave per le politiche pubbliche, seppur in un paese che ha di fatto lungamente sottovalutato (se non rimosso) il problema abitativo.
Gli enti operativi sul territorio nazionale sono oggi poco più di un centinaio e complessivamente gestiscono un patrimonio pari a circa 940.000 alloggi, di cui però solo 768.000 sono quelli in locazione. Si tratta di dimensioni certamente non trascurabili, considerando anche il fatto che nel nostro paese la quota di abitazioni destinata all’affitto è assai ridotta. Gli alloggi sono pochi, invece, se si confronta con la domanda insoddisfatta e con gli altri paesi europei: basti pensare alla Francia dove l’edilizia sociale riguarda circa 3,9 milioni di alloggi o alla Gran Bretagna che può contare su 2,7 milioni di alloggi gestiti dalle amministrazioni comunali e 2,2 milioni dalle Housing Associations.
Non va dimenticato, peraltro, che i processi di dismissione degli ultimi 20 anni hanno determinato un forte dimagrimento del patrimonio: dall’avvio del piano vendite Nicolazzi della legge 560/93 a oggi si è venduto circa il 19% del patrimonio esistente all’epoca. Un processo che non ha dato luogo a un rinnovo del parco di edilizia pubblica, sia per i bassi prezzi di vendita (serve vendere almeno quattro alloggi per costruirne uno), sia per l’esigenza di far fronte a deficit di bilancio.
Venendo ai temi della gestione del patrimonio, un’indagine Censis-Dexia-Federcasa smentisce in parte una serie di opinioni preconcette. Ad esempio, un fenomeno meno diffuso di quel che si crede è quello dell’abusivismo che, soprattutto al Centro-Nord, si attesta a livelli bassissimi o assolutamente fisiologici, sebbene in alcune realtà del Sud rappresenti un fenomeno assai rilevante. I casi estremi riguardano Palermo e Catania, dove risulta abusivo il 27% delle famiglie insediate.
Riguardo ai canoni c’è da premettere che in altri paesi europei gli affitti del comparto sociale sono ben più elevati, ma la maggior parte degli inquilini riceve un sussidio pubblico integrativo. In Italia ciò avviene (tramite il Fondo sociale) solo nell’ambito del settore privato, e in misura comunque insufficiente. Da noi i canoni nel patrimonio sociale sono mantenuti a livelli assolutamente modesti: il ricavo annuo medio per alloggio gestito varia dai 1.400 euro annui di qualche città del centro Italia fino a scendere nelle regioni del Sud su valori tra 600 e 800 euro. Difficile, con simili entrate, garantire una gestione con buoni livelli di manutenzione per un patrimonio in larga parte «anziano».
Anche la morosità risulta molto differenziata: il fenomeno può essere considerato critico nelle grandi aree urbane (Torino, Milano, Genova, Roma, Napoli, Bari e Palermo), mentre assume contorni assai più contenuti nelle medie città soprattutto del Centro-Nord.
Se sul fronte gestionale il quadro è meno negativo e più variegato di quel che si crede, su quello dello sviluppo dell’offerta siamo ai minimi storici. In assenza di flussi di finanziamento certi e consistenti come quelli assicurati in passato dal prelievo Gescal, la produzione di abitazioni sociali è crollata, attestandosi a livelli bassissimi (1.000/2.000 unità all’anno), mentre nel frattempo, soprattutto nelle grandi città, cresceva il numero delle famiglie in graduatoria in attesa dell’assegnazione di un alloggio. In questa situazione molte Aziende Casa hanno sperimentato strade nuove. Ai processi di aziendalizzazione ha corrisposto il tentativo di trovare forme di organizzazione più flessibili, di avviare rapporti di partenariato col privato, di elaborare modalità d’intervento compatibili con le (scarse) risorse a disposizione.
Le risposte date da molti degli operatori pubblici «aziendalizzati» vanno nella direzione della valorizzazione del patrimonio, attraverso progetti di riqualificazione energetica, o di rinnovo e rivitalizzazione urbana, compresi interventi pioneristici di «rottamazione» di edilizia abitativa obsoleta. Da citare, al riguardo, l’intervento in fase di avvio al quartiere San Girolamo di Bari promosso dallo Iacp insieme al Comune.
Negli ultimi anni è cresciuta peraltro l’attenzione ai bisogni di specifiche fasce di utenza attraverso interventi mirati per gli anziani (gli over 65 sono una componente sociale importante nell’edilizia pubblica), gli immigrati, i giovani. In questo ambito sono da segnalare interventi integrati come il progetto Habitat di Trieste realizzato dall’Ater insieme al Comune e all’Azienda sanitaria e con il coinvolgimento del settore no profit, dove si cerca di coniugare il miglioramento delle condizioni abitative con lo sviluppo di servizi sociali e sanitari a carattere preventivo negli stessi stabili (portierato sociale ecc).
In primo piano anche i temi della convivenza tra fasce sociali diverse. Solo per citare un caso di grande interesse, dal 2007 l’Acer di Reggio Emilia ha attivato un servizio di «mediazione sociale» che opera soprattutto nei condomini con alte percentuali d’immigrati. In questo ambito particolare attenzione viene prestata dai servizi già nella fase di assegnazione degli alloggi, cercando di conseguire un’equilibrata mixité sociale.

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Last modified: 10 Luglio 2015