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Andrea CanzianiWritten by: Inchieste

Il contemporaneo non è più un bene culturale

Dal 13 maggio il Codice dei beni culturali e del paesaggio è diverso. Tra le modifiche introdotte dal Decreto sviluppo, tutte altrettanto insidiose, una innalza la soglia per poter dichiarare l’interesse culturale dei beni immobili di proprietà pubblica da 50 a 70 anni dal completamento della costruzione.
Quel limite è stato presente nella nostra legislazione fin dalla legge Nasi del 1902, la prima dell’Italia unita dedicata ai beni culturali. Ritenuto una ragionevole distanza temporale dalla contemporaneità, fu poi adottato in molte altre legislazioni europee ma viene oggi modificato, introducendo una disparità tra beni pubblici e privati la cui ragione sfugge. Almeno ostinandosi a valutarla solo secondo parametri culturali.
Venti anni in più possono sembrare nulla di fronte ai tempi lunghi della storia del patrimonio, ma proprio perché questo non è fisso e immutabile negli elementi che lo compongono né nella nostra percezione, che come tale lo determina, questi vent’anni possono cambiare drasticamente il quadro della situazione e non sono per nulla irrilevanti nella storia breve del XX secolo. Quello moderno è un patrimonio fragile, i cui tempi di degrado e obsolescenza sono decisamente più brevi di quelli degli edifici pre-moderni. Le vaste operazioni di conoscenza e catalogazione delle opere del secondo Novecento promosse dallo stesso Mibac (e alle quali con l’esperienza di Docomomo abbiamo largamente contribuito) andavano proprio nella direzione di un avvicinamento della soglia di attenzione. Ora s’indebolisce di fatto il riconoscimento del valore culturale di tutte le espressioni dell’architettura e dei paesaggi della modernità. Il messaggio che viene veicolato è quello di una estromissione dalla categoria dei beni culturali e non può essere mitigato dall’idea che coinvolga solo i beni di proprietà pubblica, né dall’idea, semplicistica e demagogica, che riconosce nel dopoguerra solo i frutti della speculazione edilizia e dell’assalto al territorio, senza rendersi conto che questo non è altro che un ulteriore passo in quella direzione. Nell’assenza di qualsiasi tutela, modifiche e sostituzioni avventate di dettagli, elementi e materiali porterebbero alla perdita di molte delle più espressive e significative testimonianze dell’architettura del dopoguerra, uno dei periodi in cui l’architettura italiana ha saputo esprimere riferimenti di livello internazionale. Eppure all’architettura moderna di qualità potrebbe essere assicurato il riconoscimento di interesse artistico anche secondo la attuale lettera del Codice. Occorre solo rendere chiare e applicabili le relative procedure, ma per farlo bisognerà comprendere a fondo l’importanza di conservare le radici della nostra contemporaneità.

Autore

  • Andrea Canziani

    Architetto, PhD e specialista in restauro dei monumenti, attualmente presiede il DOCOMOMO International Specialist Committee on Education+Theory (ISC/E+T) ed è stato segretario generale di DOCOMOMO Italia. È architetto presso la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della Liguria, dove è responsabile del settore architettura e paesaggio nell'Ufficio Formazione e rapporti con Università. Insegna Architectural Preservation presso il Politecnico di Milano

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Last modified: 10 Luglio 2015