È sempre necessario ripetere i concetti importanti, è una regola dellistruzione. I primi corsi di studi universitari in Disegno industriale in Italia sono iniziati nel 1994, in Cile sono stati aperti nel 1957, a Cuba nel 1962, in Brasile nel 1963… Per alcuni, questa particolarità testimonia che fino a quando si studiava Architettura e Disegno industriale era una quota parte delle pratiche dellarchitetto, la competenza del progettista italiano era diversa e lItalian design si distingueva in ogni parte del mondo. Per altri, testimonia una deformazione dellUniversità italiana in cui le nuove aree disciplinari sono penalizzate dallo strapotere famelico di quelle antiche e potenti che tendono a impadronirsi di ogni risorsa e non frazionano il campo dellofferta, impedendo, attraverso questo meccanismo, un rinnovamento continuo e virtuoso dellUniversità. Ma questa è forse una storia ormai insignificante, come la diatriba che sottende.
La riforma universitaria, quella che nei fatti sta mettendo in atto silenziosamente il ministero dellEconomia e non quella, tanto declamata, che lentamente e a strappi porta avanti il ministero dellIstruzione e delluniversità, ha già lasciato il segno e la parola chiave è: ridimensionare.
Per il «giovane» Design, questa parola è particolarmente significativa: riguarderà, nel contempo, sia il ridimensionamento strutturale di cui tutta lUniversità italiana dovrà soffrire, sia unautonomia disciplinare che è sempre stata minacciata da una mai dismessa lotta intestina delle scienze dellIngegneria e dellArchitettura.
Quando il piatto piange anche ogni piccola briciola di pane diventa loccasione per scatenare guerre civili interne, i padri tolgono il piatto dalla bocca dei figli e meno bocche ci sono da sfamare e più è alta la probabilità di continuare a esistere.
La fame dellUniversità che il ministero dellEconomia produce porta come primi effetti proprio le lotte interne e fratricide e finisce per alimentare il sogno che ogni singolo ateneo persegue (e che ogni Governo da sempre tende a illudere e alimentare): lidea di lasciar fare le riforme che ridimensionano erga omnes (anche se bisognerebbe dire terga omnes vista la posizione in cui viene messa lUniversità), perchè tanto per il tuo ateneo ci sarà un trattamento speciale, un trattamento ad personam, un finanziamento legato a chissà quale straordinario progetto di sviluppo. Ed è incredibile come ogni rettore da sempre cada nel tranello del divide et impera.
Esito: in una prima fase, diciamo per i prossimi 3-5 anni, rimarranno in Italia al massimo cinque Scuole di Design autonome dallArchitettura e dallIngegneria.
Nella seconda fase, che inizierà in modo sotterraneo parallelamente alla prima (in molti atenei è già iniziata), lunica possibilità presa in considerazione per non chiudere le Scuole di Design sarà quella di ridistribuire ingegneri e architetti dentro ai corsi di Design e neutralizzare così lautonomia agendo sui contenuti dei corsi.
«Si sta come dautunno sugli alberi le foglie», e intanto si riscrivono, fittiziamente, i documenti richiesti dal ministero, questa volta quello dellIstruzione e delluniversità, per dimostrare che si esiste ancora e che si ha fieno in cascina per passare linverno. E così sarà la quinta volta che negli ultimi sedici anni si riscrivono questi documenti, perché limportante è tenere occupate le truppe quando la nazione è in tempo di pace o quando lesercito non si accorge che la nazione è in guerra civile. Passerà linverno e finalmente lanomalia del Design autonomo nellUniversità italiana sarà definitivamente riassorbita. Del resto, basta con tutto questo proliferare di corsi di studi dalla nuova e astrusa titolazione!
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