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Verde sempre più urbano o città sempre più verdi?

Parigi. La mostra «La ville fertile. Vers une nature urbaine» si propone d’indagare la natura come parte integrante del paesaggio urbano, cercando di uscire dalla visione che spesso oppone, nell’immaginario collettivo, città e natura. Un breve ma efficace preambolo delinea a grandi linee una sorta di storia del paesaggismo, ricordando come il desiderio d’integrare la natura agli insediamenti umani abbia radici lontane: nel Medioevo predominava una rappresentazione metafisica della natura quale opera divina; negli anni dell’illuminismo la natura fu indagata scientificamente; con la rivoluzione industriale, e la conseguente rivoluzione urbana, la natura iniziò ad assumere un ruolo compensatore nei confronti degli eccessi dell’urbanizzazione, stimolando un atteggiamento che, fino alla più recente rivoluzione ecologica, rifonda la relazione uomo-natura su nuove basi di consapevolezza e responsabilità.
Partendo proprio da questo archetipo della cultura occidentale (e non solo), la prima sezione indaga la natura come oggetto del desiderio, chimera per i quasi 7 miliardi di esseri umani che vivono oggi in città. Il tutto comincia con una suggestiva esperienza sensoriale: il visitatore penetra in una rigogliosa giungla allestita per l’occasione in una sala del Palais de Chaillot, un’atmosfera da sogno che Nicolas Gilsoul, curatore e scenografo di questa sezione, invita subito a ridimensionare con la scritta «Ceci n’est pas une jungle»; a ricordare che si tratta di una semplice messinscena. Questa prima sezione, dall’emblematico titolo «L’objet du désir», dimostra come parchi e giardini non siano più l’unica forma d’«infiltrazione» della natura nelle città e nell’immaginario collettivo. Il percorso espositivo si sviluppa attorno a quattro archetipi, ciascuno illustrato da una selezione di progetti: la foresta, la prateria, la friche (aree periurbane di risulta) e le sponde dei corsi d’acqua. A illustrare il primo gruppo non poteva mancare lo studio di François Leclercq e dell’Agence Ter per una foresta lineare che avvolgerà la tangenziale parigina, permettendo di attenuare l’impatto dell’infrastruttura sul paesaggio del quadrante nord-est della capitale. Seguono il progetto di Governors Island a New York, opera dei paesaggisti olandesi West 8, e altri di minore estensione. Il gruppo della prateria rimanda a un universo campestre che rievoca i déjuners sur l’herbe cari agli impressionisti presentando progetti di natura «posata» sull’esistente, come nei progetti presentati da Jean Nouvel all’epoca del concorso per il giardino delle Halles a Parigi o del Rockfeller Center di New York, o come natura parte integrante dell’architettura dei luoghi, come nel nuovo stadio Allianz Arena di Monaco (Herzog & De Meuron, 2005). Meno convenzionale la categoria successiva, che illustra come la natura abbia riconquistato, più o meno spontaneamente, aree dismesse, che si tratti della base sottomarina di Le Havre, sul cui tetto il paesaggista Gilles Clément sta ricreando un giardino selvatico che è anche una vera e propria opera di land art, o dell’ormai celebre High line newyorkese (Diller & Scofidio + Renfro con Field Operations, 2009-2011), ex ferrovia trasformata in parco lineare. A concludere il percorso, alcuni progetti volti a valorizzare gli habitat acquatici e definire una nuova relazione con i corsi d’acqua: dai nuovi parchi che si snodano lungo i principali fiumi francesi, in ambito urbano come a Lione, Bordeaux o Parigi, a operazioni di più grande respiro, come la riserva ecologica Costanera Sur ai margini di Buenos Aires o al progetto di Oma per un parco eolico a Zeekracht, nel mare olandese.
La seconda sezione dell’esposizione, curata dal paesaggista Michel Pena assistito da Michel Audouy, dal titolo «La fabbrica del paesaggio», si propone invece d’indagare il concetto di ville fertile, ricordando che a comporre un paesaggio non è solo la vegetazione ma anche il cielo, l’acqua, la terra, il sole: elementi che permettono di organizzare una nuova selezione di progetti, perlopiù francesi, con fotografie ,video e una selezione di pubblicazioni che invitano all’approfondimento.
Globalmente, entrambe le sezioni privilegiano gli effetti scenografici di forte impatto visivo all’approfondimento tematico. Alla fine del percorso il visitatore sarà affascinato dalla magnifica selezione d’immagini ma non avrà probabilmente trovato risposta alla domanda che sottende l’intera rassegna: «qual è il futuro della natura nel contesto urbano?». La relazione città-natura è infatti presentata come un idillio che rischia di ridurre la seconda alla sua sola dimensione estetica, senza proporre nuove pratiche più ecologicamente e socialmente responsabili. Il ruolo ecologico e sociale della natura passano in secondo piano e riaffiorano solo nelle video-interviste di alcune figure maggiori del paesaggio contemporaneo: il geografo Augustin Berque, il naturalista Bernard Chevassus-au-Louis, i paesaggisti Gilles Clément, Michel Corajoud e Michel Desvigne, le etnologhe Françoise Dubost e Bernadette Lizet, l’architetto paesaggista Bernard Lassus, il romanziere Erik Orsenna e la poetessa Marie Rouanet. Una decina d’interviste che risuonano come altrettanti appelli verso una maggiore responsabilità dell’uomo nei confronti della natura e delineano un nuovo progetto di società in grado di alleare consapevolezza ambientale, benessere psicofisico e giustizia sociale. Un invito a scoprire e portare la natura là dove è inattesa, a inventare nuove pratiche e sperimentare modi di vita più sostenibili, ad andare oltre i luoghi comuni e uscire dai sentieri battuti. Compresi quelli di questa mostra forse un po’ troppo convenzionale.
In contemporanea, la Cité propone una rilettura della sua collezione permanente attraverso un percorso tematico intitolato «Labyrinthe Végétal» e una retrospettiva dedicata al paesaggista brasiliano Roberto Burle Marx (1909-1994), artista poi arrivato all’architettura e figura maggiore del modernismo, che da Rio de Janeiro a Brasilia ha collaborato con i massimi protagonisti del XX secolo, da Le Corbusier a Oscar Niemeyer.

«La ville fertile. Vers une nature urbaine», a cura di Nicolas Gilsoul, Michel Pena con Michel Audouy

«Labyrinthe Végétal», a cura di Emily Rawlinson, Aude Mathé, Franck Delorme, Bénédicte Mayer, Carole Lenfant

«Roberto Burle Marx. La permanence de l’instable», a cura di Lauro Cavalcanti
Cité de l’architecture et du patrimoine, Parigi, fino al 24 luglio

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Last modified: 10 Luglio 2015