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Written by: Inchieste

Un disastro dopo il disastro

A due anni dal sisma va evidenziata l’inadeguatezza delle soluzioni adottate nella fase di emergenza: dal Piano Case al mancato riconoscimento di un rinvio di almeno 5 anni delle tasse e del rimborso al 100% dei danni per qualsiasi tipologia di proprietà. Le soluzioni praticate hanno imposto, per i piccoli comuni, nuovi villaggi Map e, per L’Aquila, un Piano Case sperequante, costoso e sottodimensionato in quanto limitato al solo 30% delle 13.000 famiglie che alloggiavano in edifici fortemente danneggiati (tipo E), e dunque a più lungo tempo di rientro. Nel comune dell’Aquila è stata particolarmente devastante la scelta dell’amministrazione comunale di consentire per 36 mesi interventi in precario: sono circa 3.000, e molti proprietari terrieri o finanziari stanno configurando «lottizzazioni di fatto» con l’intenzione di forzare una operazione di valorizzazione immobiliare. Siamo ormai circa a circa 350 ettari di insediamenti (tra Piano Case, Map, Musp e baracche varie) nel solo Comune dell’Aquila realizzati in contrasto con la pianificazione vigente prima del terremoto, a danno del suolo agricolo e senza depuratori a valle. Con la reiterazione, a inizio anno 2010, del «commissariamento» a Chiodi-Cialente-Fontana, sono poi sopravvenute linee e indirizzi «dilatori e fuorvianti», tesi a imporre defatiganti fasi di pianificazione (dal Piano strategico a quello di ricostruzione), fino alla soluzione obbligatoria dei comparti-aggregati con annesso Statuto-tipo. A tale riguardo, è bene sottolineare che, a tutt’oggi, è rimasto inevaso il problema del superamento dei limiti di rimborso (previsto per la sola «prima casa del residente»), che rende inutile e impraticabile tutta la filosofia degli aggregati (nei comparti del centro storico dell’Aquila le case principali sono poche, mentre nel resto dei centri storici del cratere, ci troviamo di fronte a un patrimonio edilizio esistente appartenente a emigrati, turisti di ritorno, o senza referenti per mancate divisioni e successioni). Particolarmente ingarbugliata è la questione macerie. In presenza di decine di proposte di cavatori locali e di una più generale esigenza di dare anche risposte occupazionali ai tanti giovani disoccupati, Ministero, Regione e Comune stanno cercando di esternalizzare gestione e profitti. A questo magma gestionale e programmatico, nel Comune dell’Aquila si vanno aggiungendo nuove operazioni immobiliari. Un vero e proprio «assalto alla diligenza» che avrà nella variante per le «zone bianche» un ulteriore colpo letale per la tutela del suolo: queste zone destinate a uso pubblico (verde, servizi e attrezzature) nel Prg vigente potrebbero essere «rinormate» a residenziale con un indice che va da 0,20 a 0,40 mq/mq di superficie utile. Alcuni autorevoli personaggi di Giunta e Consiglio si sono da tempo spesi per tale ipotesi e, ignorando le stesse esigenze (evidenziate dal terremoto) di aree libere preordinate a un più aggiornato ed esteso Piano per l’emergenza, vogliono riproporre tale sconsiderato atto con la conseguenza di contaminare almeno altri 1.120 ettari di aree libere interne all’abitato consolidato con almeno ulteriori 10 milioni di metri cubi. Nel cratere si vanno inoltre addensando campi eolici e soprattutto campi fotovoltaici a danno delle poche zone agricole di piana, oltre a due/tre centrali di biomasse installate senza che alcuno si preoccupi di verificarne praticabilità economica, bacino di rifornimento per le biomasse ed eventuali interrelazioni negative aggiuntive. A ciò vanno aggiunti 125 ettari di casse di espansione artificiale destinate a laminare, ritardare e contenere eventuali piene al di sopra dei 340 mc/s. In tale ottica è ormai improrogabile che la Regione si riappropri dei compiti di coordinamento della ricostruzione e adotti un Progetto speciale regionale per le aree del cratere che dia indicazioni produttive, direzionali e infrastrutturali, e che delinei un vero e proprio Piano pluriennale di attuazione supportato economicamente e in grado di dare certezze (economiche e temporali) a comuni e a cittadini. Va altresì superata l’attuale pletora di momenti di verifica (Cineas, Reluiss, Fintecna, Comuni, Genio Civile, Soprintendenza) che ha portato a tempi lunghissimi di istruttoria, per istituire uno «sportello unico» che verifichi e valuti contestualmente e in 60/90 giorni tutte le istanze di ricostruzione.

Estratto dal documento elaborato dal Comitatus Aquilanus, presentato il 19 gennaio scorso al convegno dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli a Roma

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Last modified: 10 Luglio 2015