In questo numero Firenze, il mese scorso Milano, due anni fa Roma, tra due mesi Torino. Giornalismo dinchiesta e città sono quasi sinonimi, sin dal lavoro di Maurice Halbwachs che porterà alla scrittura, nel 1911, del testo sui prezzi dei terreni a Parigi. Ma forse il termine città emerge dalle inchieste come un luogo comune, insieme, spaesato e melanconico. Queste inchieste del giornale fanno emergere altri valori: il mercato immobiliare e la sua egemonia anche culturale sulla formazione delle città italiane; il verde, sempre invocato e comunque presentato come consolatorio. Nessuno dei due valori di per sé genera città. Certo lurbanistica, come insieme di culture e processi decisionali, nasce per regolare il mercato e le sue… irrazionalità. Come il Park Movement è la risposta, ancora ottocentesca, a una crescita già percepita come trionfo dellartificio sulla natura. Ma entrambe sono storie, con le infinite declinazioni che il Novecento conosce, non urbane.
A Milano, ancor più che a Firenze, colpisce lassenza non di un progetto (lutopia ormai è parola allindice) ma didee e pratiche sullo spazio pubblico che non siano retoricamente vendibili come «verdi e sostenibili». E anche quando si manifestano, come nel caso della pedonalizzazione di piazza del Duomo, si esprimono sempre per sottrazione: davanti alla cattedrale si tolgono le auto. Unassenza che è accompagnata da una povertà: quella di funzioni men che banali. Così, quando le funzioni si rivelano figlie di un pensiero riflettente (come nel caso fiorentino delle Murate, già anticipato per altro da quello delle Oblate), appaiono come le rondini nei cieli italiani: un ricordo dantan. La parabola di Novoli è, nella storia dei vuoti urbani in Italia, un caso quasi icastico, un esempio da portare nei laboratori del primo anno delle facoltà dArchitettura. Le funzioni, per come si continua a pensarle, generano automaticamente recinti che dividono e agglutinano la città. Recinti che degradano, oltre tutto, per Milano e per Firenze la stessa storia di queste due straordinarie città che sono cresciute mercantili e che ora si vedono stravolte dal commercio.
Loccasione unica di ripensare le città, a partire dal parcellario fondiario (processo che molte città europee conoscono già da metà Settecento) non viene neanche presa in considerazione. Il progetto di Krier per Novoli ne è una parodia. Sono ipermercati, palazzi di Giustizia o della Regione, sedi ipertrofiche di funzioni decisionali a sostituire la funzione precedente con ununica nuova funzione, senza neanche porsi il problema delle gerarchie urbane e ancor meno della possibilità di ripensare quegli spazi da sempre cinti da mura, in unorganizzazione differenziata e gerarchica di nuove, piccole parcelle. Nel caso di Roma, poi, il contrappunto tra le centralità sovraccaricate di residenza e commercio e il tessuto di strade, vicoli, piazze e piazzette, angoli imprevisti, passages e galéries, genera uninvolontaria ma non meno stridente contrapposizione. Unimmagine rovesciata di città e death of city, per ricordare il testo di Jane Jacobs.
Unultima non marginale osservazione emerge da queste indagini tanto diverse quanto preziose. La cultura urbanistica italiana rivela tutta la sua crisi che spiega anche, almeno parzialmente, quella che sta attraversando la società italiana. Non tanto perché lurbanistica non è riuscita a regolare il mercato. È la povertà progressiva del suo cassetto degli attrezzi concettuali a colpire. Sono usciti dalla sua riflessione la società, i suoi quadres de vie, i suoi modelli di consumo, il mutare del significato dei termini «ceto medio» o «periferia», la perdita di spazialità che una cultura che si muove su reti produce sulla stessa formazione dellopinione pubblica: città e opinione pubblica, che si forma in luoghi per lappunto pubblici, sono quasi sinonimi. In questa situazione la produzione di regole (basta vedere i nomi con cui sindicano i piani) è diventata unarma in mano, e non ce nera bisogno, di unideologia: quella liberale, che è ormai lespressione migliore della falsa coscienza di marxiana memoria. Anche perché con le regole si sono formate burocrazie che vivono sulla loro interpretazione, finendo di restituire unimmagine necrofila delle regole stesse. Se la litania degli sprechi ha così tanta presa è anche perché, nel caso della costruzione delle città italiane, si sono creati corpi autoreferenziali che sezionano la città, e i burocrati appaiono come tanti anatomopatologi. Ma leffetto è che a questo punto la città è un cadavere, come il corpo del defunto sul tavolo gelido dellIstituto di anatomia. Mentre un mercato che assorbe una quantità insensata di risorse viene contrastato solo da unidea di wild in grado arginare quella che è lopera più complessa e ricca di significati delluomo, larchitettura.
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