Sintitola Case abbandonate il bel documentario presentato in anteprima nazionale il 2 dicembre a Reggio Emilia nellambito dellultima edizione della Biennale del paesaggio. Un toccante viaggio tra alcune rovine dItalia: dai dismessi casolari rurali e dalle neglette ville fuori porta ai borghi fantasma, spopolati in seguito a improvvise catastrofi o per linesorabile esodo verso gli eldoradi urbani o del Nuovo mondo. Dai dati Assoedilizia di Milano, riportati in un articolo di «Repubblica» del 27 dicembre, si stimano in almeno due milioni le case abbandonate: un dato rilevante, se si considera che nellultimo censimento del 2001, in tutta Italia sono stati contati 13 milioni di edifici. Nulla di nuovo, è vero; ma non possiamo nascondere che ci troviamo di fronte a un grande paradosso. Da un lato, assistiamo quasi inermi alla scomparsa di un ingentissimo quanto unico patrimonio (certo, non mancano le eccezioni: come nel caso dei recuperi della borgata cuneese di Paralup o dellintero centro storico abruzzese di Santo Stefano Sessanio, per non fare che due esempi recenti). Dallaltro, viviamo la febbre del mattone, che ci ha portati a cementificare nellultimo decennio una superficie pari a quella dellUmbria (come ci ricordano pubblicazioni recenti quali La colata o lultimo libro-denuncia di Salvatore Settis, Paesaggio Costituzione cemento). Una febbre che, per quel che concerne labitazione, tuttavia, non soddisfa la domanda delle fasce basse della popolazione; col risultato, altrettanto paradossale, di trovarsi di fronte a grandi quantità di case non abitate o invendute, in ragione di un mercato governato dagli interessi immobiliaristici. Nella sensibilità collettiva e nelle azioni politiche, tuttavia, qualcosa sta cambiando; ma occorre vedere in che direzione. Progetti pubblici come le «100 cascine per lExpo» fanno ben sperare (vedi le pagine dellinchiesta milanese in questo stesso numero). A Roma dovrebbero partire i lavori per il recupero di centinaia di cascinali da trasformare in 2.500 alloggi a seguito di un bando emanato dal Comune nel gennaio 2009. Tuttavia, la modifica alla legge regionale veneta illustrata qui a fianco fa scattare lennesimo campanello dallarme. Lopzione del recupero, svincolata dal rispetto della destinazione duso originaria, può diventare il pretesto, il cavallo di Troia che apre a speculazioni che nulla hanno a che spartire con la vocazione dei luoghi interessati dai progetti, visto che lincentivo a intervenire è dato dal premio di cubatura. Ancora non riusciamo a guardare oltre il meccanismo per cui la premialità può essere remunerata in termini meramente quantitativi. Ci ostiniamo (o fingiamo) di non capire che una virtuosa strategia di valorizzazione territoriale passa attraverso operazioni di recupero qualificate e selettive (se necessario, «per via di levare», non di aggiunte), e che forse gli incentivi andrebbero studiati in maniera un po più sofisticata. Diversamente non si avrà valorizzazione, ma solo inflazione.
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