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Milena FarinaWritten by: Città e Territorio

3.500 case: Roma le rifà

ROMA. Dopo il clamoroso annuncio dell’estate, il 4 novembre il sindaco Gianni Alemanno ha presentato con l’architetto lussemburghese Léon Krier il progetto per la demolizione e ricostruzione del Piano di zona 22 Tor Bella Monaca, tra le dure contestazioni dei comitati per la casa e dei cittadini del quartiere. Proteste d’altronde prevedibili, viste le modalità seguite per proporre un’operazione drastica che coinvolge 28.000 abitanti: la decisione è stata presa senza alcuna forma di consultazione (nonostante il sindaco abbia espresso l’intenzione d’indire un referendum a posteriori) e il passo successivo è stato l’affidamento diretto per l’elaborazione del piano del nuovo insediamento.
Il degrado degli edifici realizzati negli anni ottanta con tecniche di prefabbricazione pesante è oggettivo e insostenibile per i ponti termici e le infiltrazioni d’acqua (soprattutto nelle 14 torri), ma con una procedura concorsuale si sarebbero potute confrontare alternative più dialettiche nei confronti dell’esistente. Questa è stata infatti la logica con cui da metà anni novanta a Tor Bella Monaca sono stati concepiti gli interventi nell’ambito del piano Urban che hanno iniziato a scardinare la monofunzionalità del quartiere attraverso la realizzazione di progetti importanti come il teatro comunale, uno studentato ed edilizia residenziale privata firmata dall’architetto Stefano Cordeschi, che si sta anche occupando di un Programma di recupero urbano di prossima realizzazione.
La proposta del sindaco segue di pochi mesi le dichiarazioni dell’assessore regionale alle Politiche abitative Teodoro Buontempo di demolire Corviale e ricostruire al suo posto un nuovo quartiere a bassa densità su modello città-giardino. Anche nel caso di Tor Bella Monaca, il modello proposto in luogo del vecchio quartiere s’ispira ai rassicuranti dettami del new urbanism: il piano prevede la sostituzione dei comparti di proprietà comunale e dell’Ater (torri, edifici in linea e macrocorti: in tutto 3.500 alloggi per 878.900 mc) con un insediamento composto da quattro quartieri strutturati intorno agli spazi pubblici propri della città storica: la piazza, il corso e un edificio pubblico; gli edifici residenziali di 3-4 piani sono aggregati per isolati, con un linguaggio di riferimento facilmente intuibile. Proponendo uno schema urbano radicalmente alternativo (che occupa un’area più ampia sfruttando gli spazi aperti di proprietà pubblica), il progetto mira alla cancellazione dei caratteri spaziali riconducibili al modello della città moderna, considerato il vero responsabile del degrado del quartiere.
I tempi annunciati per la realizzazione (in due fasi) sono celeri: aprendo i cantieri entro due anni, si prevede il completamento dell’intero intervento tra sette, con un investimento di 1,45 miliardi interamente a carico di privati, che beneficeranno di un consistente premio di cubatura tramite nuovi edifici da collocare sul libero mercato (ma la governatrice Renata Polverini ha garantito un contributo aggiuntivo di fondi europei per 10-15 milioni). L’incremento edilizio dell’insediamento (che porterà le superfici fondiarie da 77 a 96 ettari e quelle a verde e servizi da 83,5 a 148 ettari) dovrebbe comportare un aumento degli abitanti da 28.000 a 44.000 e delle cubature da 2 a 3,5 milioni di mc.
La complessità gestionale di simili operazioni è dimostrata dal programma di sostituzione edilizia avviato dall’Amministrazione precedente a Giustiniano Imperatore, giunto dopo otto anni alla realizzazione dei primi due edifici progettati dallo studio Abdr e la consegna imminente dei 120 appartamenti ai vecchi abitanti. Qui il Comune ha dovuto gestire una situazione di emergenza per il grave rischio di crollo degli edifici, bandendo un concorso per il masterplan e successivamente un concorso-appalto per la realizzazione del primo comparto. L’intervento del Comune è stato poi particolarmente faticoso dal punto di vista amministrativo, poiché trattandosi di case private è stato necessario convincere i proprietari a consorziarsi per poi avviare un complesso meccanismo finanziario che prevede il contributo del Comune e degli stessi abitanti in una parte minima equivalente alla somma che avrebbero pagato per consolidare gli edifici (950 euro/mq + Iva). L’impresa costruttrice ha accettato di vendere a un prezzo contenuto ai vecchi residenti in cambio di un surplus di appartamenti (circa 40) che può collocare sul mercato. La realizzabilità dell’operazione attraverso il coinvolgimento del privato ha infatti comportato l’aumento del potenziale edificatorio di circa il 33%. In una recente tavola rotonda, l’assessore all’Urbanistica Marco Corsini ha espresso la volontà dell’Amministrazione di proseguire il programma di sostituzione edilizia, che prevede la demolizione e ricostruzione di 17 edifici per 1.682 alloggi, interessando nella riqualificazione un’area complessiva di 297.000 mq.

Autore

  • Milena Farina

    Nata a Roma (1977), si laurea nel 2002 all’Università di Roma Tre, dove è Professoressa associata di Composizione architettonica e urbana presso il Dipartimento di Architettura. Nella sua attività di ricerca si occupa in special modo dello spazio dell’abitare nella città moderna e contemporanea. È autrice dei libri “Spazi e figure dell’abitare. Il progetto della residenza contemporanea in Olanda” (Quodlibet 2012), “Borgate romane. Storia e forma urbana” (Libria, 2017), Colonie estive su due mari. Rovine, progetto e restauro del moderno (GBE, 2021). Nel 2008 ha fondato con Mariella Annese lo studio Factory Architettura. Dal 2004 collabora con “Il Giornale dell’Architettura”

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Last modified: 18 Aprile 2016