Il libro bianco di Italia Nostra 2010 sulle coste italiane coglie solo alcuni aspetti dei processi di trasformazione del sistema costiero del paese. Cè indubbiamente una civile denuncia dei mali più evidenti: il dissesto idrogeologico, la brutale aggressione delledilizia abusiva, la rincorsa alla conquista delle aree di pregio per operazioni immobiliari speculative, i guasti ambientali prodotti da insediamenti industriali obsoleti e da corsi dacqua inquinati, la proliferazione di porti turistici, la compromissione di siti archeologici e di aree protette, la privatizzazione di spiagge e litorali che rende inaccessibili estesi tratti del demanio marittimo. Ma tutto questo non basta a farci comprendere in che modo le coste, nella loro corruzione, si siano legate ai meccanismi di sviluppo e di governo del territorio.
Il bel paesaggio come chiave di lettura non è sufficiente. Il paesaggio se non è in grado di assimilare al suo interno le infrastrutture necessarie allo sviluppo, al benessere pubblico, alla vita collettiva, alla mobilità delle merci e delle persone, è una nozione sterile. La denuncia della corruzione del paesaggio deve fare un passo avanti, deve entrare nel merito di un sistema di pianificazione che nella sua proliferazione e settorializzazione non è in grado di garantire né la tutela, né un progetto di sviluppo sostenibile. Le coste italiane sono governate da una pluralità di centri decisionali (sia centrali che locali) e di strumenti di pianificazione (piani paesistici, piani di coordinamento territoriale, piani regolatori urbanistici e portuali, piani di settore e accordi di programma) che si sovrappongono, confliggono tra loro, impedendo una visione dinsieme e unazione coordinata. Il demanio marittimo, a sua volta, è frammentato in più ambiti di competenza: capitanerie di porto, regioni, province, comuni, autorità portuali, autorità di bacino. Il risultato è un intreccio che rende lenta e complessa ogni attività di pianificazione, dintervento e di controllo. La legge Bassanini del 1997, per il conferimento di compiti e funzioni alle regioni e agli enti locali, soprattutto per il Mezzogiorno, si è realizzata solo in parte, lasciando largamente irrisolto il nodo della gestione delle concessioni demaniali. Allo stesso modo la Legge Burlando del 1997 che ha consentito di avviare la realizzazione da parte di operatori privati di migliaia di porti turistici, semplificando le procedure di approvazione dei progetti mediante il ricorso allistituto della conferenza dei servizi indetta dai sindaci dei comuni interessati, ha prodotto alla fine una condizione di stallo e di confusione. Mentre comuni e privati rincorrono lobiettivo di realizzare le strutture diportistiche in ogni dove, le regioni con modalità diverse tentano di porre sotto controllo la proliferazione degli interventi (sia predisponendo masterplan generali per la portualità turistica, sia proponendo revisioni sostanziali della legge Burlando).
Su un tema così decisivo per la qualità e la sicurezza delle coste, per leconomia del settore nautico, per lo sviluppo locale e per la riqualificazione urbana, manca ancora un quadro organico di riferimento legislativo che regoli i rapporti tra stato e regioni e orienti organicamente lattività di programmazione e controllo degli enti locali. A differenza di altri paesi, non esiste in Italia un reale impegno nel coastal zone planning and management.
La linea di costa è tra le reti quella che maggiormente realizza lincontro tra natura e artificio, è una rete ambientale e infrastrutturale. Lo è da sempre, ma oggi con maggiore intensità: basti pensare che il Mediterraneo è divenuto lo spazio del mercato globale, attraversato dal 30% del commercio internazionale complessivo. Il nodo sta proprio in questa duplicità: essere rete ambientale e nello stesso tempo indispensabile rete infrastrutturale. Sulla costa sono localizzate raffinerie, industrie, reti ferroviarie e stradali, insediamenti urbani e metropolitani, porti, scogliere artificiali e grandi opere marittime. Lungo la costa e il suo mare troviamo una quantità di piattaforme offshore per lestrazione didrocarburi, moli dattracco per navi petroliere e metaniere, rigassificatori, testate di arrivo di metanodotti e oleodotti. È possibile immaginare uno sviluppo del nostro paese senza energia da idrocarburi, senza infrastrutture, senza un adeguamento funzionale dei nostri porti? Gli oltre 8.000 km di coste sono una risorsa culturale, paesaggistica ed economica: turismo, riqualificazione urbana (è questo il ruolo dei waterfront), ma anche economia del mare, del trasporto marittimo (i nostri porti che dovevano diventare il molo dEuropa hanno perso il loro primato nel Mediterraneo) e dellenergia (anche se la prospettiva sono le fonti rinnovabili, occorre riconoscere ancora per molto la nostra dipendenza dagli idrocarburi). Le coste vivono di questo inevitabile conflitto, ne portano le tracce, il loro paesaggio è il risultato di questo processo contraddittorio. Rendere lo sviluppo sostenibile non sarà facile soprattutto in una fase di grave crisi e di alta competitività, ma non ci sono altre vie. La nuova modernizzazione del paese (se ci sarà) dovrà necessariamente trovare un equilibrio tra conservazione e tutela da un lato e sviluppo e trasformazione dallaltro. Il territorio diverrà sempre di più lincontro tra la rete ambientale e quella infrastrutturale. Sarà la qualità e la sostenibilità di questo incontro a fare del territorio un paesaggio.
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