I colori sono quelli caldi e cangianti dellautunno, ma laria del crepuscolo è pungente. Fin dai 1500 metri le pendici dei monti sono ammantate di una precoce eppur generosa coltre di neve. Con sorpresa, già sodono fragori di piccole valanghe che precipitano dai diedri dellimponente parete sud del Pizzo di Timau, un baluardo calcareo che raggiunge i 2217 metri e pare sbarrare il percorso per lAustria, che dista non più di una decina di minuti dautomobile. Risalendo la valle del Bùt verso il passo di Monte Croce Carnico sincontrano i paesi di Zuglio, Arta Terme, Sutrio, Treppo, punteggiati da edifici di Gino Valle: schietti manifesti di una modernità che, per non cadere nellequivoco vernacolare, non esita a misurarsi con sperimentazioni scomode.
A 800 m s.l.m. cè Timau, frazione di Paluzza che conta 400 anime, in prevalenza anziani. Qui, dove di solito gli usci delle case restano schiusi anche la notte, si parlano tre lingue: oltre a italiano e friulano, un tedesco dorigine medievale che fino a un paio di generazioni fa era lidioma più diffuso. Adagiato a mezza costa sul fianco orientale della vallata, nel piccolo cimitero (150 inumazioni su un lotto di circa 50 x 25 m) non si seppelliva più nessuno dagli anni quaranta. Con la predisposizione, nel 1920, di un nuovo recinto a breve distanza, limpianto storico ha conosciuto un progressivo degrado diventando inaccessibile, infestato dalla vegetazione spontanea. Nel 2005, un inatteso quanto esiguo finanziamento statale di 135.000 euro ne ha sancito la restituzione alluso.
Da sotto si scorge solo parte del basso muro in pietra che recinge il camposanto. Un ampio sentiero erboso, salendo obliquamente, conduce allingresso. Accostandosi alla soglia, si scopre che il portale – in sostituzione delloriginario, andato perduto – non è incardinato sugli «esausti» piedritti preesistenti ma è di poco discostato. È, questa, una scelta che si fa cifra costante dellapproccio al progetto: la stratificazione dei segni è letterale e avviene per sovrapposizione, mentre la posa in opera non contempla trattamenti di finitura dei materiali. Echi del magistero scarpiano ma anche memorie ondivaghe tra art brut e arte povera. Le pesanti ante del portale rivelano una perizia artigiana nella realizzazione, guidata dal rigore minimale del disegno e dal gusto dei dettagli: semplici lamiere intelaiano un tavolato di larice, mentre unelegante e studiatissima feritoia rettangolare stabilisce un nesso visivo con linterno.
Varcata la soglia e saliti pochi gradini, anchessi in cemento grezzo, pare di rivivere le atmosfere preromantiche della lirica cimiteriale: un prato dal manto irregolare ha progressivamente avuto la meglio sulle poche lapidi scolpite, sulle croci in ferro e sulle tante minuscole lastre recanti solo un numero. Al muro perimetrale, che segue il declivio e che è stato ricomposto con le stesse pietre laddove pericolante (rinunciando a insensati quanto onerosi restauri), sono state nel tempo addossate epigrafi e croci. Il muro manca invece per metà del lato a monte: una slavina se lo portò via negli anni cinquanta. Al suo posto, una gabbia di due reti elettrosaldate su un cordolo di cemento funge da graticcio per tre rampicanti (lonicera, clematis alpina e glicine): una barriera vegetale, spoglia dinverno, che si fa metafora della vita.
Sul breve asse che dallingresso conduce alla cappella mortuaria, baricentro visivo del camposanto, una piastra in ferro, composta da due lastre agganciate e di poco sospesa da terra, è lunico segnale della presenza di un ossario ipogeo, cui si accede sollevandola. Lo stesso escamotage dello scuretto che separa gli elementi preesistenti dai nuovi ritorna nella copertura della cappella: un foglio di rame graffato, senza gronda né pluviali, che pare galleggiare sui muri in pietra sopravvissuti al crollo del tetto a capanna. Ancora, il ripristino del manufatto è giocato sullindipendenza strutturale e semantica tra vecchio e nuovo, qui declinata in una sorta di «scatola cinese». Allinterno, infatti, unarmatura lignea offre lappoggio alla copertura e il supporto per i pannelli in betulla che rivestono le pareti fino a unaltezza di 2,5 m (in luogo delle piastrelle prescritte dalle norme igieniche; di qui la ragione della finitura a olio dei pannelli, in deroga allapproccio di cui si è detto). I giunti del pavimento, in lastre di grigio carnico (calcare), disegnano una croce. Lessenziale cubicolo – illuminato sui lati dalla preesistente apertura quadrata, entro cui dallesterno è stato inserito a spinta il serramento in ferro – è introdotto da una rudimentale porta a due ante e da una poderosa soglia in pietra monoblocco. Intimo e ascetico, lo spazio è ornato solo da una mensola in ferro precariamente sospesa dallalto, ove ardono i lumi: lo pervadono calde fragranze di legno e cera dapi.
Abbiamo a lungo riflettuto circa la visibilità da accordare a un simile intervento. La visita ha fugato ogni residuo dubbio, in ragione di un atteggiamento progettuale che vale come metodo: la capacità di «ascoltare» i luoghi e interpretare i temi; di puntare sulla reversibilità e di fare di necessità virtù rispetto a budget più che risicati; lumiltà di saper fare un passo indietro senza lambizione dimporre segni eclatanti o di pronunciare sentenze finali. Così, lintervento rientra appieno nel continuum storico, rivelando la propria contemporaneità. Laverlo pubblicato molto dopo la sua ultimazione è riprova della pertinenza dellapproccio. Il trascorrere del tempo, infatti, ha portato il suo contributo: opacizzando, annerendo, arrugginendo, ammuffendo le superfici; facendo sembrare quegli inserti, peraltro non mimetici, come presenti da sempre.
Per le festività di Ognissanti, sulle neglette tombe è ricomparso qualche vaso di fiori.
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