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Written by: Inchieste

Camillo Botticini: ricerchiamo un’architettura rigenerativa dei luoghi

Il ruolo assegnato, nella storia dell’architettura, alla distribuzione come momento del progetto inclusivo di ragioni funzionali e sociali, ha delineato un rapporto privilegiato tra spazio costruito e «vie sociale», fino alla modernità.
Oggi invece, sempre di più, lo spazio sembra definirsi lontano da queste ricerche, come pura conseguenza dell’involucro. Il dibattito avviato da questo Giornale nel numero scorso intende stimolare l’attenzione del contesto professionale, coinvolgendo affermati progettisti italiani su un tema fondativo del fare architettura. Dopo Baukuh e Iotti & Pavarani, risponde a 4 domande Camillo Botticini (www.abdarchitetti.com).

1. Distribuzione, qualità dello spazio, tipologia: che cosa rappresentano per lei questi temi?
Appartengono tutti a diverso titolo al dibattito sull’architettura del secolo scorso. Il primo rimanda al funzionalismo alla Alexander Klein, all’ottimizzazione dei percorsi, degli spazi, a un principio di efficienza ed economia che in modo diretto ha influenzato tutta l’edilizia sociale e oggi, in particolare, quasi tutta la produzione del costruito in rapporto agli elevati costi realizzativi. Il secondo rimanda invece alle visioni zeviane e post wrightiane, in particolare allo spazio interno ritenuto fondativo dell’architettura e della sua specificità. In questo senso viene da pensare a Le Corbusier come a colui che (ad esempio nell’Unité d’habitation) resta un riferimento assoluto, realizzando una sintesi tra queste componenti. Il terzo rimanda infine al tentativo di ordinare l’architettura sul modello dell’attività scientifica. È evidente come questo approccio abbia potenzialità euristiche e limiti in relazione a come viene utilizzato. A noi interessa più il rapporto con una dimensione archetipica e meno legata a tipi specifici, a figure generative dell’insediamento e delle relazioni. Va detto che questi temi appartengono tutti al progetto e li utilizziamo nel tentativo di costruire una sintesi architettonica attenta ai luoghi e di questi rifondativa e/o rigenerativa.

2. Anche la modellazione 3D si sta rivelando un efficace strumento di controllo del progetto distributivo, al pari dei tradizionali studi basati su piante e sezioni?
La modellazione tridimensionale è esistita almeno a partire dal Rinascimento con la prospettiva. Oggi questo mezzo, potenziato, permette di elaborare forme in parte inedite e di predisporne la realizzazione. Non ho ancora ben compreso se si tratti di un salto paradigmatico o di un’esplorazione che allontana in molti casi la rappresentazione dal senso e dalle finalità del costruire per abitare. Certo la rappresentazione computerizzata è, insieme al modello fisico utilizzato da secoli, un potente mezzo di comprensione e comunicazione di un’idea formale. Il problema sta qui: questi mezzi rimandano spesso l’architettura a una sola idea formale dimenticandone il carattere di sintesi complessa. Guardando le suggestive manipolazioni di Zaha Hadid ci si chiede se stiamo guardando macrosculture o altro. Dove si ritrova un rapporto tra interno ed esterno? Come funziona la distribuzione (non esiste un’economia dello spazio)? Lo spazio interno è legato a quello esterno o è solo una modellazione autonoma? Si percepisce come la radicalizzazione del mezzo fatichi a trovare nuove forme di sintesi. Ma forse è solo problema di tempo.

3. Quanto incide oggi la volontà della committenza, pubblica o privata, sulle scelte distributive, e quali sono i margini di libertà del progettista?
Si tratta di entità molto diverse. In Italia il pubblico è un interlocutore debole, quasi assente. Questo permette paradossalmente ampi margini di elaborazione ideativa, anche se il committente poi non condivide quanto elaborato e non costituisce una sponda ai valori del progetto. Il privato può essere un interlocutore eccezionale quando è attento ai contenuti e vuole essere consapevole stimolo al progetto e all’esito costruttivo. Questa condizione si confronta, per contro, con la logica speculativa di gran parte degli operatori che cercano di riferirsi a modelli consolidati imponendo preconcetti poco attenti, anche a fronte di proposte criticamente intelligenti nei confronti di un mercato che avrebbe sancito definitivamente le regole del gioco.

4. È possibile per il progettista stimolare vera innovazione distributiva e tipologica in un mercato residenziale omologante gestito da soggetti privati e rispetto a un’utenza che non ne fa esplicita richiesta?
Questa risposta è il corollario della precedente… L’innovazione è limitata in partenza, ma non impossibile. Oggi alcune condizioni legate all’efficienza energetica e alla crisi del mercato portano alcuni operatori a cercare nella differenza rispetto all’omologazione della produzione per l’abitare alcune varianti sia nei modelli insediativi, sia nei rapporti tra edificato e spazi aperti. Riferendosi all’alloggio, soprattutto nella costituzione di spazi accessori e di una maggiore complessità tipologica, in particolare negli spazi filtro tra interno ed esterno. Va precisato, per concludere, che viviamo nel paese sbagliato per fare architettura…

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Last modified: 16 Luglio 2015