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Ma quanto era comunitario Leonardo Ricci

Il saggio di Michele Costanzo su Leonardo Ricci si concentra su un aspetto specifico dell’attività dell’architetto fiorentino, vale a dire la riflessione su come gli spazi progettati possano servire una comunità. Nella biografia di Ricci l’idea di comunità non rimane in termini vaghi e nemmeno è debitrice dell’esperienza olivettiana, ma si sostanzia in precise occasioni di lavoro. Le più significative, di cui il testo fornisce ampio conto in mezzo ad altri episodi, sono il centro Agàpe a Prali in val Pellice (Torino, 1946-1948), il villaggio di Monterinaldi sulle colline di Firenze (1949-1961) e il villaggio Monte degli Ulivi a Riesi (1963-1966), nel nisseno.
Il primo e l’ultimo caso rivestono un particolare interesse, legato alla committenza valdese, nella persona del pastore Tullio Vinay, tra le figure chiave della cultura evangelica italiana del Novecento. Nella formazione professionale di Ricci, Agàpe è cruciale non solo perché prima opera costruita, ma soprattutto per le suggestioni che esercita sulla concezione che l’architetto elabora del proprio fare e del proprio ruolo, come l’autore ben spiega. L’idea di Vinay, di fondare in un luogo isolato una comunità ecumenica che condivida spazi e vita quotidiani, ha infatti un’eco ben leggibile nella ricerca di Ricci sulla distribuzione, orientata alla creazione di spazi fluidi ai limiti dell’informale ma sempre raccolti attorno a centri dove i riti della quotidianità possano trovare adeguato svolgimento. È significativa in questo senso la nota polemica dell’architetto contro l’Unité d’habitation di Marsiglia, considerata un agglomerato insensibile di spazi-scatola. Pur ponendo al centro la ricerca sullo spazio comunitario, come il titolo stesso dichiara, il testo non tralascia gli aspetti costruttivi, tanto importanti in un architetto-artigiano come Ricci. Si scopre così che, se Agàpe vede Ricci disegnare fin da subito il proprio repertorio formale, letteralmente pietra su pietra, rivelando l’influenza del suo maestro Giovanni Michelucci, la costruzione è seguita in realtà da un ingegnere e proseguita da Giovanni Klaus Koenig (altro architetto di spicco della minoranza protestante italiana).
Quando anni dopo ancora Vinay commissiona a Ricci il villaggio Monte degli Ulivi, un tentativo di portare l’esperienza della val Pellice nella più arretrata campagna siciliana, l’architetto seguirà invece pe

rsonalmente i lavori in un cantiere quasi autocostruito, all’insegna di un’etica del lavoro profondamente valdese.
Costanzo non è certo apologetico rispetto alla ricerca di Ricci sulla comunità. Se il caso del villaggio per artisti di Monterinaldi viene descritto nei suoi parziali fallimenti, il villaggio di Montepiano (1960-1970), sempre a Firenze, si traduce fin da subito in una gated community. Del resto, proprio il difficile rapporto del protagonista con il mercato e le istituzioni universitarie (statunitensi e italiane) costituisce il filo rosso di questa efficace e sintetica biografia intellettuale, che illumina un architetto a sua volta difficile, eretico e interessante.

Autore

  • Manfredo di Robilant

    Architetto e storico dell’architettura, è stato associato alla ricerca della XIV Biennale di architettura di Venezia, per cui ha curato i libri su ceiling e window (Marsilio, Rizzoli International, 2014). Ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura presso il Politecnico di Torino ed è stato visiting scholar al Canadian Centre for Architecture di Montréal. Insegna alla Domus Academy di Milano e ha tenuto lezioni alla Washington University di St. Louis, all’Institut für Kunstwissenschaft di Brema, allo Strelka Institute di Mosca, alla Harvard GSD. Ha scritto per «Il Giornale dell’Architettura», di cui è stato assistente alla direzione, «Arch+», «Baumeister», «Domus», «World Architecture». Condivide con Giovanni Durbiano lo studio DAR-architettura.

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Last modified: 17 Luglio 2015