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Written by: Inchieste

Il Maxxi messo alla dura prova dell’allestimento

L’inaugurazione delle prime quattro mostre, il 27 maggio, ha rappresentato (forse) l’ultima fase della lunga e travagliata «operazione Maxxi» e ha permesso di verificare l’effettiva «accoglienza» di un’opera che si è fatta a lungo attendere, alimentando aspettative, lodi, critiche e dubbi sulla funzionalità dei suoi spazi.
Ad accogliere il visitatore nello spazio aperto che collega il nuovo museo con gli archivi e la biblioteca del Maxxi Base, è l’immenso scheletro di Gino De Dominicis. Varcata la soglia, se si sceglie di resistere al richiamo delle sinuose scale e di cominciare la visita dal piano terreno, ci si inoltra in spazi in cui la grandiosità del suggestivo atrio d’ingresso si stempera in soluzioni che sembrano contraddire quanto affermato da Zaha Hadid nel corso della conferenza stampa a proposito dell’intenzione di portare la luce naturale negli interni. Al piano terra, infatti, la luce non entra nell’auditorium e neppure nella galleria riservata all’architettura, mentre dialoga con i gradevoli spazi del livello superiore, dov’è modulata dai funzionali binari tecnici in copertura. In questo spazio, che ammalia con i suoi serpeggianti percorsi, si è tuttavia sorpresi anche da particolari costruttivi non risolti e da avvisaglie di usura precoce, accidenti inattesi all’inaugurazione di un edificio costato ben 150 milioni. Inevitabile chiedersi che cosa succederà dopo i 400.000 visitatori l’anno auspicati dal ministero.
Delle quattro mostre inaugurali, due sono dedicate ad artisti: «Gino De Dominicis: l’immortale»
e «Kutlug Ataman. Mesopotamian Dramaturgies». La rassegna «Spazio. Dalle collezioni di arte e architettura del Maxxi», a cura di Pippo Ciorra, Alessandro D’Onofrio, Bartolomeo Pietromarchi e Gabi Scardi, offre un viaggio fra opere d’arte e installazioni di dieci studi di architettura di fama internazionale (unico italiano, Cino Zucchi), messe a confronto su quattro temi (Naturale Artificiale, Dal Corpo alla Città, Mappe del Reale, La Scena e l’Immaginario) secondo sezioni difficilmente distinguibili. Le opere trovano un loro spazio (ritenuto tuttavia da molti artisti inadatto), tranne alcuni quadri per i quali sono state costruite «zeppole» ad hoc per adattarsi alle pareti inclinate. Le proposte degli architetti sembrano riportare il visitatore alle atmosfere della Biennale firmata Ricky Burdett nel 2006: dal muro di Diller & Scofidio lavorato in tempo reale da un trapano meccanico (che tra 8 mesi, a fine mostra, avrà composto un disegno), alla cortina evanescente dei croati Hpnj+, sino agli alberi sospesi dello «Stolen Paradise» proposto da West 8 (installati ma rimossi nel giro di poche ore perché interferivano con la visione delle opere d’arte; al loro posto è stata proiettata un’immagine dell’installazione sul pavimento…). Installazioni suggestive e provocatorie che tuttavia paiono poco documentare il ruolo sociale dell’architettura o pongono difficoltà di lettura, come nel caso dell’impegnato Teddy Cruz, che lavora sul confine tra Messico e Stati Uniti, o dei francesi Lacaton & Vassal. Su una lunga parete sospesa, in corrispondenza del vuoto che si affaccia sul piano terra, scorrono le immagini dell’interessante sezione «Geografie italiane» messa in opera con Studio Azzurro, in comunicazione con il pubblico grazie a postazioni interattive che consentono un itinerario tra le tappe fondamentali dell’architettura degli ultimi 50 anni, selezionate da Maristella Casciato (peccato che l’ascolto degli audio sia disturbato dal trapano di Diller Scofidio + Renfro, indefessamente all’opera proprio lì accanto).
Ritornando al piano terra, si transita distrattamente davanti ai pochi e scarni pannelli che illustrano il progetto di Hadid per accedere alla mostra più strettamente architettonica, «Luigi Moretti architetto. Dal razionalismo all’informale», che risulta confinata tra gli spazi destinati agli archivi di architettura e quelli occupati dall’ingombrante installazione di Anish Kapoor, che ha costretto a dover allestire una nuova quinta per segnalarne l’inizio. Curata da Bruno Reichlin e Maristella Casciato, ricchissima di documenti (provenienti dall’Archivio centrale dello Stato e dall’archivio privato Moretti Magnifico) e corredata da numerosi plastici (realizzati dagli studenti dell’Accademia di Architettura di Mendrisio e dalla School of Architecture della University of Miami), la mostra sull’architetto romano analizza l’opera progettuale e l’attività teorica di un personaggio eccentrico del panorama del xx secolo, spesso trascurato dalla storiografia. L’allestimento, di Aldo Aymonino, è caratterizzato da vetrine illuminate che ospitano 400 disegni originali, dall’isola dei più di 50 modelli e da una parete-installazione costruita appositamente per accogliere le tempere di Moretti (dal 1933 al 1942) e le opere della mostra «La casa abitata», realizzate da artisti con cui Moretti dialogava (tra cui Lucio Fontana e Giuseppe Capogrossi). Su elementi curvilinei sospesi sono poste, senza soluzione di continuità, foto storiche delle sue architetture affiancate a quelle di una campagna realizzata per l’occasione da Gabriele Basilico. Sebbene un album tematico, riposto su una mensola accanto all’interessante quanto ricco pannello sinottico, racconti la molteplicità degli interessi di Moretti, la mostra risulta povera di supporti esplicativi. Questo non accade invece nella retrospettiva «Luigi Moretti Architetto. Storia, arte, scienza», promossa curiosamente in contemporanea dall’Accademia Nazionale di San Luca (dove è allestita fino al 28 novembre) con l’Archivio del moderno e l’Accademia di Architettura di Mendrisio e curata dallo stesso Reichlin e da Letizia Tedeschi, dove sono chiaramente illustrati tre temi strettamente interrelati nel pensiero di Moretti e delle sue opere: il rapporto con la storia (dell’architettura e dell’arte), l’interesse per la scienza (matematica e logica formale), la passione per l’arte (Moretti editore, gallerista, mecenate, appassionato d’arte). Forse per mancanza di spazio il visitatore è così costretto a spostarsi dall’altra parte della città per visionare la restante documentazione dell’Archivio centrale dello Stato, dell’archivio privato Moretti Magnifico, arricchita da opere della Galleria d’arte moderna di Roma e da collezioni private.
La prossima tappa del Maxxi Architettura presenterà invece (da dicembre) uno dei principali fondi d’archivio sui progettisti del Novecento posseduti dal museo, quello di Pier Luigi Nervi.

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Last modified: 17 Luglio 2015