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Written by: Inchieste

«China What!»

«Difficile dire cosa importi davvero. La società dà un valore eroico all’immagine di un edificio; chiede agli architetti dei simboli di successo. È come se immaginassimo la vita delle persone fatta solo di grandi scene rumorose». Continua He JianXiang: «Con alcuni professionisti cinesi e britannici (architetti, artisti, economisti, facilitatori sociali), in 48 ore, abbiamo trasformato un angolo di Chongqing in un’area silenziosa, dov’è possibile riappropriarsi dello spazio urbano senza farsi sopraffare dagli eventi. Doveva sembrare un po’ assurdo».
Curioso imbattersi in queste parole nella nazione dei grandi eventi, dell’architettura monumentale, delle visioni urbane offerte dal mercato internazionale dell’architettura. Sono note scritte su un blog da un architetto trentenne di Guangzhou (O-office Architecture), con menzioni in concorsi internazionali e cantieri di ogni dimensione. Questi blog sono frequenti, testimoniano il bisogno di elaborare pensieri in modo visibile, perché l’idea che la rapidità della trasformazione non ammetta il tempo per razionalizzare quanto succede è parziale.
La Cina delle decisioni centralizzate accetta tuttavia i concorsi aperti per le opere pubbliche, gli eventi a tema, la progettazione volontaria mobilitatasi dopo il terremoto nel Sichuan del 2008. È in questi spazi che può trovare affermazione una inedita generazione di professionisti: studi e viaggi fuori dalla Cina, pratica professionale in altri contesti e mercati, frequentazioni con gli stranieri di passaggio.
A partire dalla metà di maggio, con un programma di sei incontri, le tavole rotonde di «China What!» raccoglieranno le molteplici pratiche di questi professionisti in crescita. Il luogo degli incontri è un villino liberty cinese, presso la South China University of Technology (Scut) di Guangzhou. I promotori sono Ruggero Baldasso (architetto italiano con un’esperienza decennale di concorsi di progettazione in Cina, Song Gang, architetto cinese rimpatriato dopo alcuni anni di pratica negli Usa), e chi scrive, docente Scut.
I protagonisti invitati hanno circa trent’anni, hanno conosciuto solo la Cina della crescita economica, hanno un rapporto disincantato con l’autorità del potere e non sono intimoriti dal confronto con le diverse scale di progetto.
Una domanda per tutti: come può sfuggire alle tentazioni dei «copia e incolla» una pratica onnicomprensiva e ritmata dalle scadenze dei concorsi? Alcuni, ironicamente, notano che in Guangdong una nuova città è alla portata di tutti: Guangzhou ha una Zhujiang New Town, una Baiyun New City, una University City. Philip Fung, nato nel 1976 a Hong Kong, curatore della mostra collettiva «40 under 40» nel 2007 e oggi a Shanghai con lo studio Else Design, sintetizza gli umori contrastanti di questa fase: parlando del concorso per il Museum of Contemporary Art and Planning Exhibition di Shenzhen, poi vinto da Coop Himmelb(l)au, Fung nota come è ripetitiva la produzione dei profili stradali nelle nuove pianificazioni. Ogni singolo oggetto edilizio è alla fine intercambiabile, o riadattato a funzioni inaspettate, nonostante gli sforzi per apparire unico e vincente. Urbanus, il gruppo più consolidato del Guangdong, attivo da oltre dieci anni a Shenzhen, è l’unico a credere alla visione modernista dell’architettura come guida di una società in trasformazione. Per altri, i metri cubi da costruire sono l’unico dato programmatico, certo più della funzione. «Non è la deriva della città generica, ma una pragmatica rinuncia all’idea che l’architettura da sola possa offrire un mondo migliore» sostiene Zhong Guanqiu, altro architetto cantonese trentenne. Questa capacità di auto-adattarsi al contesto per tenere dei riferimenti individuali saldi, è la stessa che adottano molti progettisti nel controllo del proprio lavoro.
Chi costruisce in Cina sa che le idee prendono forma in cantiere, mediando con una manodopera operosa e poco specializzata, o con clienti che vogliono rendere ben visibile l’investimento nel design. Questi frammenti di soluzioni puntuali, fatti di mattoni, tubi industriali e cemento grezzo, insieme alle ambizioni di ridefinire uno spazio pubblico e collettivo, potranno aprire scenari inattesi agli utenti della nuova Cina urbana.

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Last modified: 17 Luglio 2015