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Written by: Città e Territorio

Un piano controverso per la baia di Sydney

Sydney (Australia). A fine febbraio il governo regionale del Nuovo Galles del Sud, cui fa capo la metropoli australiana, ha presentato i dettagli del piano particolareggiato di sviluppo per i 22 ettari di Barangaroo, l’ultima delle grandi aree portuali dismesse immediatamente a ridosso del centro città, per la quale nel 2005 era stato bandito un concorso internazionale in due fasi. Il piano, promosso dalla Sydney Harbour Foreshore Authority (poi strategicamente devoluto alla Barangaroo Development Authority), finanziariamente preparato e ora affidato al grande imprenditore immobiliare Lend Lease, e «decorato» dagli inglesi Rogers Stirk Harbour + Partners coadiuvati da una serie d’importanti architetti locali, si basa su un’ipotesi di disegno urbano presumibilmente di grande impatto, organizzata su due estremi: un parco naturalistico sulla testa del promontorio, a nord, a ricreare idealmente topografia e immagine del biotopo pre-europeo; e un parco commerciale a sud, composto da un fascio di terziario a grande altezza che, saldandosi al central business district esistente, ne prolunga l’estensione fino sul bacino d’acqua. Per incrementare la percentuale di spazio «pubblico», infatti, il piano incorpora un pontile sul quale Sir Richard Rogers ha immaginato una torre albergo di 213 m, in barba a tutti i codici urbanistici a salvaguardia della baia più famosa del mondo e interamente al di fuori degli indici di costruzione permessi (fino a questo punto) dal piano.
A parte la colpevole genericità della volumetria, dell’uso del suolo (in parte disneyano, in parte in stile Dubai), e degli argomenti addotti a difesa delle decisioni prese, il problema di Barangaroo sta nel fatto che, cinque anni prima, la proposta vincitrice del suddetto concorso era stata un’altra, sviluppata dal gruppo di architetti locali Hill Thalis/Paul Berkemeier/Jane Irwin (Tbi) secondo criteri sostanzialmente diversi e, a detta di molti, molto più coerenti con il mandato progettuale, la storia e le potenzialità morfologiche dell’area. Tbi aveva immaginato un tessuto a scala minore, più graduato e distribuito attraverso l’area, che accompagnava la transizione dal business district all’emergenza rocciosa del nucleo storico di Sydney, oggi limite naturale dell’area sul lato longitudinale opposto all’acqua. Aldilà delle dotazioni a parco lungo il bordo di bacino, il compito di produrre senso (e controllo) civico era affidato a un disegno urbano articolato, preciso ed esplicito che, integrando con eleganza funzioni multiple e tessuto, individuava negli spazi e nella struttura del connettivo (invece che nella monumentalità esasperata delle forme) l’elemento città. In tale schema, l’iniziativa privata avrebbe dovuto svilupparsi (per parti) all’interno della maglia pubblica.
Già all’indomani del concorso (significativamente d’idee) inizia la predisposizione delle forche caudine da parte del comitato promotore, allora guidato da elementi di spicco del governo e della finanza locali tra cui Paul Keating, burattinaio urbano con passato da primo ministro, che aveva già operato per dare a un’area attigua del centro, prospiciente l’Opera House, un fronte-porto assimilabile a quello di Singapore. La proposta vincitrice del concorso diventa non solo la base ufficiale per il piano dettagliato e l’eventuale affidamento dei diritti di sviluppo, ma anche quella ufficiosa per introdurre cambiamenti drastici formalmente difendibili.
A Tbi viene infatti chiesto di riconsiderare alcune parti critiche del programma, tra cui preesistenze industriali e grafica del paesaggio, semplificando al tempo stesso la rappresentazione di progetto. Se Tbi aveva immaginato di edificare Barangaroo sulle vestigia geometriche dell’area di banchinaggio definita negli anni sessanta a spese della linea di costa originaria, Keating e il comitato chiedono di obliterare fisicamente la memoria di quell’atto di «vandalismo ambientale»: per fare questo spingono alla ricreazione del bordo irregolare e della riserva naturale oggi celebrati. Nonostante le ricerche di compromesso, già prima dell’approvazione del piano schematico nel 2007 i progettisti iniziali non hanno più nulla a che fare con lo schema da loro stessi concepito che, ulteriormente diluito di contenuti e ampliato in metri cubi (30%), viene utilizzato come base di gara per l’assegnazione a un solo consorzio privato dei lavori per la prima fase di sviluppo (leggi: un lotto unico che racchiude la gran parte del volume da erigere ma non le aree destinate a parco). Nel dicembre 2009 Lend Lease viene dichiarato «appaltatore preferito» del governo, con un altro incremento di cubatura del 15% cui si aggiunge l’isola(to)-albergo, ricevendo essenzialmente carta bianca su tutta l’area commercialmente vantaggiosa, a prescindere dal lavoro certosino di Tbi.
Ripercorrendo l’imbarazzante storia di Barangaroo, tutte le incongruenze diventano strumentali al risultato conseguito: dalla fanfara del concorso al progressivo svilimento delle sue indicazioni, dalla retorica delle consultazioni alla struttura delle decisioni, dalla città pianificata per parti a quella svenduta in blocco (con la scusa di afflati ambientali e ambientalisti). Di fronte a incombenze di budget (il governo statale è quasi in bancarotta), non si può sottilizzare tanto, anche se questo vuol dire rinunciare alla propria funzione, ipotecare l’uso di aree nevralgiche del sistema urbano e istituire modelli di comportamento nefasti. In tutto questo vale la pena di sottolineare il ruolo giocato dalla discussione architettonica (o pseudo tale) all’interno di un processo sostanzialmente economico. Questioni obiettivamente rilevanti, progettisti seri o di nome, commissioni paludate e personalità della cultura sono state pubblicamente scomodate per conferire aura al tutto, quando solo il 35% della decisione di gara era vincolata al disegno. Il restante 65% era e rimane basato sugli aspetti commerciali, ed é forse per questo che la documentazione relativa è stata dichiarata confidenziale dal governo.

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Last modified: 17 Luglio 2015