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Caterina CardamoneWritten by: Reviews

Il modernismo messicano decostruito

Bruxelles. «L’esposizione “Mexican Modernism” postula che non esiste una storia univoca e omogenea dell’architettura moderna in Messico, ma piuttosto un insieme complesso e molteplice di racconti e opere»: queste le chiare intenzioni del curatore Jose Castillo in apertura alla guida che accompagna la mostra. Non si tratta di un’esposizione di grandi dimensioni, quanto piuttosto di una sorta di lapidaria messa in scena di una posizione storiografica precisa, come conferma anche la scelta del materiale, esclusivamente fotografico; un pretesto, contemporaneamente, per avvicinare il grande pubblico all’architettura messicana, nell’ambito del festival (arte, musica, fotografia, letteratura) che Bozar dedica al Paese centroamericano, in occasione del suo bicentenario dell’indipendenza e del centenario della rivoluzione.
Sulle pareti della prima delle due sale, quaranta foto d’epoca di altrettante opere, composte in un imponente mosaico, illustrano efficacemente i paradossi e la frammentazione di una storia possibile, sottraendosi intenzionalmente a una narrazione coerente e alla ricerca di un canone unico in un arco di tempo, tuttavia, necessariamente non omogeneo: dalla casa studio per Diego Rivera e Frida Kahlo di Juan O’Gorman (1929-1930), fino all’hotel Camino Real Ixtapa di Ricardo Legorreta (1981). In questa prima sala, una sorta di cabinet des curiosités, il collage delle architetture viene presentato senza interferenze, senza supporti cronologici o biografici. Chi volesse decrittare le immagini ha a disposizione i corrispondenti fascicoli allineati su di un tavolo centrale: un’asciuttissima descrizione dell’opera che viene poi contestualizzata nella produzione dell’autore, sulla base anche di riproduzioni di documenti grafici.
Nella seconda sala, tre schermi proiettano visite guidate da giovani architetti messicani all’interno di alcuni degli edifici esposti in mostra. Accanto a icone come la Biblioteca centrale della città universitaria, sempre di O’Gorman (1950-1952), le Torres de satélite di Luis Barragán e Mathias Goeritz (1957), lo stabilimento Bacardí di Félix Candela (1959-1971) o l’Heróico colegio militar di Augustín Hernández e Manuel Gonzáles Rul (1971-1976), vengono esposte opere di Héctor Velázquez Moreno e Ramón Torres (piazza commerciale Jacarandas, 1957), Augusto Álvarez (la succursale del Banco del Valle del Mexico, del 1958, e l’edificio Jaysour, del 1961-1964), Alberto T. Arai (strutture sportive della città universitaria, 1950-1963), Reynaldo Pérez Rayón (l’Unidad Zacatenco dell’Instituto Politécnico Nacional, 1957-1975) e Juan Sordo Madaleno (edificio Palmas, 1974-1975).
Proprio l’eterogeneità del panorama fa avvertire la mancanza di un catalogo (Castillo, architetto urbanista, lavora tuttavia a uno studio più ampio di prossima pubblicazione per la rivista «Arquine») e la necessità di un’analisi più puntuale e dubitativa che articoli ulteriormente le tradizionali linee interpretative dell’architettura messicana. La questione della tensione tra linguaggi internazionali d’importazione e ricerca d’identità locale; la caratterizzante presenza del paesaggio («sole, vulcani e metropoli», nel saggio introduttivo di Castillo, Fragments for a possible history of modern architecture in Mexico) o il riferimento al grottesco, all’elemento estraniante, a elementi antropomorfi, sono accettati come imprescindibili criteri storiografici, ma investiti da un’ombra di retorica che si ha l’impressione distragga da questioni più sostanziali.

Autore

  • Caterina Cardamone

    Nata a Catanzaro nel 1970, si laurea in Architettura all'Università di Firenze nel 1996, dove nel 2002 consegue il Dottorato di ricerca in Storia dell’architettura, con una tesi sulla ricezione dell’architettura antica e rinascimentale negli scritti di Josef Frank, protagonista del moderno viennese, e continua a occuparsi del tema (ha curato il volume "Josef Frank, L'architettura religiosa di Leon Battista Alberti", Electa 2018). Un ulteriore e più recente ambito di interesse è dato dai passaggi tecnico costruttivi nella trattatistica italiana del Rinascimento. È corrispondente del «Giornale dell’Architettura» dal 2007 ed è stata docente a contratto all’Université Catholique di Louvain-la-Neuve (Belgio) dal 2011 al 2016

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Last modified: 17 Luglio 2015