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Written by: Inchieste

Concorsi in Italia. La parola a Benedetto Camerana

Titolare dello studio torinese Camerana&Partners. Attraverso i concorsi, gli enti pubblici hanno perseguito non solo politiche territoriali ma anche di autopromozione. Sul totale dei concorsi banditi nell’ultimo decennio, un elevato numero è rimasto sulla carta. Attraverso la Sua esperienza, quali potrebbero essere gli interventi per rendere effettiva la concatenazione tra bando, assegnazione dell’incarico ai vincitori, realizzazione dell’opera?
Noi facciamo molti concorsi, pubblici e privati. Infatti la maggior parte degli incarichi ricevuti è frutto della vittoria in un concorso (o in una gara). Penso che la vera competizione sia un ottimo strumento di crescita per la qualità dei progetti. Purché sia serio, chiaro, e non solo per le sue buone intenzioni. Altrimenti diventa, più che «un gioco», uno sperpero d’idee, energie, risorse, speranze. Quanti concorsi muovono anche centinaia di architetti a produrre progettazioni articolate, tutte visioni destinate a non avere futuro salvo l’unica che sopravviverà! È allora fondamentale la garanzia che il progetto vincitore sia realizzato.
In verità di concorsi «abortiti» ne ho vissuti pochissimi, e nessuno in caso di aggiudicazione. Certo faccio attenzione a scegliere concorsi credibili! Curiosamente i due casi più eclatanti di rinuncia alla costruzione sono due concorsi per la HafenCity di Amburgo, entrambi a inviti e preselezione (un ponte pedonale e un’università). In Italia invece tutto bene, salvo essere in attesa, da maggio 2009, come altri 9 finalisti, del rimborso per il concorso della sede della Provincia di Bergamo, perché uno studio non selezionato per la seconda fase ha presentato 4 ricorsi al Tar, e l’ultimo è stato accolto. Situazione molto italiana, ma non solo (penso al pur fallito ricorso di Hans Kollhoff contro Franco Stella per lo Stadtschloss a Berlino).
Che cosa proporre dunque per avere concorsi efficaci? Penso che il punto centrale sia la garanzia di un impegno più profondo da parte delle amministrazioni, e parte da una proposta controcorrente: abolire l’anonimato, introducendo invece la presentazione diretta del progetto, anche pubblica, da parte dell’architetto. Disegni e plastici possono dire molto, ma mai abbastanza. Occorre allora procedere a una selezione di 5/10 progettisti, che sia per inviti, per titoli, per proposte schematiche aperte a tutti, per arrivare a un confronto tra chi promuove l’opera e chi la vuole progettare, e questa ritengo essere la sola possibile certezza non solo della scelta della migliore soluzione, ma anche del reale impegno del promotore.

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Last modified: 3 Settembre 2015