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Danilo Udovicki-SelbWritten by: Città e Territorio

Dopo la Strip, una nuova icona urbana per Las Vegas

Las Vegas (Nevada). Alla fine degli anni settanta, quando la crisi energetica statunitense colpì duramente la General Motors e i sindacati conclusero accordi con le società tagliando le indennità e i salari degli operai, le immense fabbriche della Ford erano già vuote in mezzo a una distesa desolata di erbacce, dove ironicamente un tabellone metallico esibiva ancora le parole profetiche di Henry Ford sulla sconfinata prosperità promessa al proletariato sulla scia delle sue famose innovazioni industriali. La stessa Detroit sembrava morta, con porte e finestre di palazzi, cinema, uffici, teatri e negozi sbarrate in tutta fretta con assi di legno, come una città medievale colpita dalla peste.
In modo piuttosto inaspettato, svoltando un angolo della città spettrale, un improvviso miraggio tremolante di grattacieli di vetro si ergeva come una «fata morgana» azzurra dal deserto urbano: il «Renaissance Center» di Detroit. Come indica il nome, questo complesso di alberghi, spazi aziendali e negozi di lusso progettato da John Portman (un costruttore immobiliare, inventore degli «atrium hotels») aveva lo scopo di «dare nuova vita» all’economia della città. Quel gruppo di torri, però, è rimasto vuoto per molti anni a venire. Si trattava infatti di un’impresa speculativa che ha portato denaro a una schiera di proprietari che hanno continuato a rivenderlo e a ricomprarlo.
Un’operazione immobiliare simile, spesso associata a un miracolo, ma forse più vicina al miraggio, è stata avviata a Las Vegas nel 2004 e inaugurata nel dicembre scorso da una società con il nome calzante di «Mgm Mirage». Lo studio Ehrenkrantz, Eckstut & Kuhn ha concepito il masterplan di un complesso ad alta densità, regalando alla città il suo grande successo edilizio chiamato CityCenter. Nell’insieme, l’effetto è quello di immensi piani, angoli e curve di vetro che catturano la luce di giorno e di notte, riflettendo lo scintillio della celebre Strip e amplificandolo con la propria potenza elettrica. Gli edifici, che chiedono di essere guardati da ogni angolazione alle varie ore del giorno, regalano una serie di prospettive diverse. Questo progetto da 8,5 miliardi di dollari, in parte resort e in parte sviluppo urbano, è il più grande degli Stati Uniti. Eppure, come il «Renaissance Center» di Detroit, ha un futuro incerto. Vicino alla bancarotta un paio d’anni fa, è stato salvato dallo sforzo comune di otto banche di varie zone del mondo che hanno iniettato una «dose di fiducia» di 1,8 miliardi. In questo audace gioco d’azzardo speculativo con perdite crescenti, i proprietari scommettono sull’«unicità» del progetto.
È proprio la pretesa di un immediato status iconico a distinguere il CityCenter dai suoi predecessori. I tempi sono cambiati e lungi dall’usare un comune architetto costruttore, come a Detroit, la società ha ingaggiato numerose archistar per la gioia della clientela sempre più sofisticata, che va in brodo di giuggiole alla sola menzione di nomi stereotipati come Daniel Libeskind (il prevedibile «Crystals» del suo centro commerciale), Cesar Pelli (l’hotel Aria di 61 piani, con le sue forme sinuose e 4.400 letti!), Rafael Viñoly (l’hotel Vdara Condo di 57 piani, con la caratteristica forma di mezzaluna e una superficie di vetro decorato in diversi colori) e Norman Foster con i «negozi più elitari di Las Vegas». Ora giocare d’azzardo toccherà «vette di eleganza insospettate». Di Helmut Jahn sono le Veer Towers, due torri da 37 piani e 337 appartamenti inclinate secondo angoli di 5° (da cui il nome veer, virata) che ci vogliono far credere di essere «una coppia danzante». Visto il coinvolgimento di due affermati architetti sudamericani, si tratta magari di un tango. A quest’impresa alla Dubai, con sette progetti coordinati dallo studio Gensler, nel 2007 si è aggiunta un’affiliata di Dubai World, che ora ha citato a giudizio la Mgm in puro stile siciliano.
Il complesso è festosamente cosparso di richiami per lo shopping, fontane stravaganti, eleganti piazze, piscine creative e modernissime spa – «un parco giochi di dimensioni urbane» – completo di Bambino nell’abbraccio della madre di Henry Moore. La copiosa presenza di arte alta – è uno dei programmi artistici più grandi e ambiziosi del paese – ci porta alla seconda pretesa di unicità del progetto, il coinvolgimento di artisti tra cui Maya Lin e Frank Stella. La terza pretesa di gloria è l’acquisizione della certificazione Leed ormai molto alla moda (addirittura d’oro per il cristallo di Libeskind), che gli ambientalisti definiscono utile quanto una foglia di fico.
In netto contrasto con questi parchi divertimenti per facoltosi, la povertà dilaga. Come ha scritto di recente il londinese «Daily Telegraph»: «Sotto il luccichio, il glamour e il gioco d’azzardo, sinonimi della Strip di Las Vegas, vivono centinaia di esseri oppressi» nella rete dei canali di scolo che corrono sotto la città e i suoi sobborghi. Le gallerie sono buie e gli abitanti non sono i ratti che solitamente abitano ambienti tetri come questo, ma i senzatetto che cercano un po’ di riparo lontano dagli occhi della gente e che ricordano in modo allarmante «Metropolis» di Fritz Lang. Non molto tempo fa, cinque giornate di pioggia intensa hanno allagato la città, spazzando via i rifugi di cartone degli abitanti delle gallerie. La situazione mette in luce un aspetto sempre più cupo della sfavillante Las Vegas, accostando il CityCenter a un’orgia di oscenità alla Dubai.

Autore

  • Danilo Udovicki-Selb

    Laureato in Architettura e pianificazione all'Università di Belgrado, ha conseguito un master in Filosofia al Boston College e un dottorato in Storia, teoria e critica dell'architettura Massachusetts Institute of Technology. È docente associato presso la Austin School of Architecture dell'Università del Texas.Ha pubblicato molti contributi sugli anni 30 in Francia e Unione sovietica, in particolare sull'avanguardia architettonica russa, su Charlotte Perriand e Le Corbusier. La sua più recente pubblicazione ha riguardato la cura del volume “NARKOMIN: Moisej Ginzburg and Ignatij Milinis” (Ernst Wasmuth Verlag, Berlino). Attualmente, sta scrivendo un libro sulle avanguardie sovietiche nell'epoca staliniana. È corrispondente del Giornale dell’Architettura dal 2003.

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Last modified: 17 Luglio 2015