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Written by: Professione e Formazione

Tentativo di riforma

Nonostante sia una legge tanto attesa quanto temuta, forse la discussione deve ancora cominciare. Due sono le frasi ricorrenti nel testo del ddl: «senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica» (le riforme in Italia sono sempre a costo zero!) e «piano triennale» (ragionevole avere una dimensione temporale pluriennale!). Peccato che nel contempo il Fondo di finanziamento ordinario per gli atenei per l’anno finanziario 2009 sia stato attribuito da qualche settimana, cioè a programmazione avvenuta e a impegni di spesa già presi (sempre rispettando le scadenze ministeriali se si voleva aprire l’anno accademico) e per il 2010 siano previsti pesanti tagli per i quali un possibile recupero è affidato all’andamento del rientro dei capitali dall’estero. Si mescolano cioè entrate una tantum e spesa corrente e rende quindi immediatamente poco credibile qualsiasi programmazione triennale.
Il Titolo I del ddl affronta l’«Organizzazione del sistema universitario» e rappresenta, per così dire, l’epilogo del preoccupante sintomo d’incapacità di autoriforma del sistema in base ai principi di autonomia riconosciuti ai singoli atenei.
Appaiono condivisibili l’identificazione degli organi delle università e il richiamo alla complementarietà e non sovrapposizione dei loro rispettivi compiti e funzioni (rettore, consiglio di amministrazione, senato accademico, direttore generale, collegio dei revisori dei conti, nucleo di valutazione) secondo il principio della responsabilizzazione specifica e collettiva nel governo e nella gestione degli atenei, troppo spesso assillati da una certa pletoricità di organi dove il principio di rappresentanza si risolve a volte nella difesa di interessi particolari. Questo è il sintomo più preoccupante di derive involutive frutto della reiterata frammentazione di saperi e poteri che ha alimentato, nel corso degli anni, una proliferazione dei settori scientifico-disciplinari, dei corsi di studio e delle sedi che non ha giovato né allo sviluppo qualitativo del sistema né alla sua autorevolezza e prestigio.
Per i consigli di amministrazione è prevista la partecipazione di membri del «mondo esterno», ma lo sviluppo di relazioni virtuose fra la realtà socio-economica circostante e il mondo accademico è questione ben più complessa e articolata della cui impostazione e promozione non vi è traccia nel testo legislativo (per esempio affrontando il problema della defiscalizzazione dei contributi per la ricerca e la formazione). Inoltre nell’articolo 1 «Principi ispiratori della riforma» il richiamo al contesto internazionale è assai sfumato e generico: eppure gli accordi di Bologna, la conferenza di Lisbona e il contesto dei paesi dell’Ocse dovrebbero delineare gli elementi significativi della partecipazione dell’Italia al processo di riqualificazione della formazione avanzata in ambito europeo.
Positivo, seppur timido, è l’iniziale riconoscimento delle diversità interne del sistema laddove, indirizzando verso progressive forme di semplificazione incardinate allo sviluppo di relazioni virtuose fra didattica e ricerca, si prevedono configurazioni organizzative in relazione alle dimensioni degli atenei anche ipotizzando specifici accordi di programma con il ministero. Più confuso resta invece l’affidamento di ipotesi di razionalizzazione a eventuali federazioni di atenei. L’altra faccia, complementare e necessaria, di una tale impostazione è tuttavia affidata alle deleghe al governo, a successivi provvedimenti, per ciò che riguarda il passaggio alla contabilità economico-patrimoniale e analitica, le regole di bilancio, l’accreditamento dei corsi di studio, il sistema di valutazione.
Sembrano delinearsi così i cardini di un rinnovamento complessivo delle regole del gioco che potrebbero mettere ordine nel quadro generale di riferimento. Come è evidente, però, in assenza dei decreti la legge è monca, fatto particolarmente preoccupante per il costume legislativo italiano. Nel nostro caso è opportuno ricordare che proprio l’assenza dell’attivazione contestuale di un sistema di monitoraggio e di valutazione delle attività è ciò che ha privato delle necessarie coerenze il rapporto fra obiettivi e strumenti nelle precedenti prove di riforma.
Per quanto riguarda il reclutamento del corpo docente ben venga l’istituzione dell’abilitazione scientifica nazionale, ma nel complesso ci si trova di fronte a una sorta di eccesso normativo nel fissare «lacci e lacciuoli» come se, una volta delineate le regole del governo e della valutazione, lo stesso soggetto emanante non si fidasse né delle proprie capacità di indirizzo e controllo né dei soggetti cui è rivolta la stessa legge. Analoghe considerazioni si possono fare per ciò che riguarda il diritto allo studio (perchè non affrontare la questione della residenzialità studentesca?) o gli assegni di ricerca: forme di centralizzazione irriverenti di qualsiasi forma di autonomia.
In estrema sintesi è un ddl di cui appaiono condivisibili alcuni obiettivi di carattere generale, ma sembra più una proposta di correzione di fenomenologie negative riscontrate nel corso degli anni che un’ipotesi di prospettiva di crescita e sviluppo del sistema universitario nazionale nel contesto internazionale, prova ne siano il vincolo della definizione di un «codice etico» e i previsti tagli al Fondo di finanziamento ordinario.
Per le facoltà di Architettura, dopo avere assistito alla proliferazione indiscriminata di facoltà e corsi di laurea, compresi quelli in Ingegneria edile-Architettura, il combinato disposto della ridefinizione dei settori scientifico-disciplinari e le «razionalizzazioni» auspicate all’interno degli atenei comporteranno presumibilmente una loro progressiva marginalizzazione.

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Last modified: 17 Luglio 2015