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Written by: Progetti

Bolle Nardini +5

L’ampliamento per spazio eventi e ricerche delle distillerie Nardini a Bassano del Grappa (Vicenza), progettato dallo studio Massimiliano e Doriana Fuksas e inaugurato a dicembre 2004, era stato presentato nel n. 26 del febbraio 2005 da «Il Giornale dell’Architettura» nell’articolo di Ingrid Paoletti Un distillato di tecnologie evolute per Nardini.

Cinque anni non sembrano passati: l’accurata manutenzione (rifacimento in calcestruzzo del fondo della vasca acquea, già in resina, aggiunta di un gocciolatoio invisibile sulla sezione maggiore dell’ellisse delle bolle, eliminazione del robot-ragno poco performante nella pulizia delle trasparenze, strato di pellicola incorporea sui gradini per risolvere il problema di praticabilità di una scala totalmente vetrata) preserva l’insieme dall’usura. Giuseppe Nardini, presidente della società, ha affermato che «fare impresa non vuol dire avere solo obiettivi e progetti ma anche sogni. Per i 225 anni della nostra distilleria avevamo bisogno di un sogno: l’architetto Massimiliano Fuksas ce lo ha realizzato, dandoci quelle emozioni che solo le opere frutto dell’ingegno al massimo livello sanno dare»: un architetto italiano, per celebrare uno dei tipici prodotti italiani, la grappa.
Inaugurato nel dicembre 2004, con la funzione di ospitare convention aziendali (nell’auditorium ipogeo, al quale si accede anche attraverso una gradinata verde esterna), eventi di rappresentanza esaltando la tecnica di distillazione (nelle parti sospese), l’opera di Fuksas è caratterizzata da una dicotomia estrema, che raggiunge il suo limite nella contrapposizione tra la massa materica affondata nel terreno e la leggerezza delle bolle vetrate trattenute dai puntoni in acciaio proiettate nell’acqua: il tutto tenuto assieme dalla struttura metallica che ingabbia l’ascensore e attraversa l’insieme, appena sottolineato dalle scale vetrate.
La lettura metaforica è comprensibile: acqua, sospensioni galleggianti, trasparenze, visioni, vapori, alambicchi: un forte rinvio alla produzione aziendale. Più difficile discernere il (sottile?) confine, la cesura tra architettura e oggetto artistico, probabilmente coincidente con il velo d’acqua che separa la costruzione sottostante dalle bolle galleggianti. L’effetto della visione notturna multipla delle rampe e delle alzate trasparenti, oltre che suggestivo, è straniante. Un esercizio frutto d’indubbio mestiere: insieme di segni ieratici tracciati sul preesistente spazio ordinato all’inizio degli anni ottanta da Pietro Porcinai, vincolo di progetto e spazio accuratamente preservato dal cantiere.
Operazione riuscita: a distanza di cinque anni, l’obiettivo sembra centrato e la committenza soddisfatta. Il budget, mai dichiarato, anche solo facendo il classico conto della serva, sembra tutt’altro che trascurabile. Silvia, studentessa di architettura a Venezia, interrogata al termine della visita fatta in compagnia di numerosi suoi colleghi, si sbilancia: «spesa eccessiva!» Alessandro, primo anno della laurea specialistica, lievi preferenze per Steven Holl, disincantato, borbotta: «questo è un oggetto di design, non un’architettura…».
L’afflusso di visitatori, turisti enogastronomici in primis, è notevole (circa 1.500 al mese) e supera i pellegrinaggi degli architetti. Proprio da chi mai te l’aspetteresti, dalle comitive indistinte di anziani, sembra vengano i commenti più positivi, incoraggiante segno di come la modernità e gli azzardi (in apparenza) possano riuscire tutt’altro che indigesti.
Di questa realizzazione molto s’è detto e ancor si parla. Indubbiamente è stato un cantiere fuor dall’ordinario in cui si sono affrontate importanti questioni realizzative, problemi nuovi e non indifferenti. Solo ad esempio, l’interrato è costituito da muri in getto del tutto sghimbesci; gli ellissoidi sono avvolti da vetrate curvate nelle tre dimensioni (prodotte da Glaverbel); il carico termico, sovente richiede in contemporanea riscaldamento e raffrescamento in determinate zone del fabbricato.
Molto più delle parole paludate contenute nelle relazioni di progetto ne dà ragione, con aneddoti molto incisivi, il signor Tarsillo, preposto della ditta che ha visto nascere le strane cose che oggi si chiamano bolle, dal progetto in poi curate da lui con orgoglio e amorevolezza degna d’un figlio.
In questa realizzazione l’assunto che informava il disegno di Mies van der Rohe, «God is in the detail», sembra abbia un peso molto diverso.
Qui, per esempio, le saldature degli elementi centinati costituenti l’ossatura che nell’insieme richiamano alla memoria la forma delle domestiche boules per l’acqua calda, hanno dei cordoni di saldatura quasi non curati. Oppure, le vetrate, presentano qualche discontinuità nella superficie. L’insieme regge, ma l’impressione è che l’esuberante esperimento sia un concetto magmatico solidificato a forza, seppur al meglio, da altri. Tratto comune a molti progetti d’architetti dei nostri dì.

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Last modified: 17 Luglio 2015