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Written by: Progetti

Sul restauro di Casa Morandi a Bologna

Ringrazio «Il Giornale dell’Architettura» che mi consente una replica, dovuta all’articolo di recensione di uno degli ultimi lavori realizzati dal mio studio. La progettazione della Casa Museo Giorgio Morandi a Bologna [cfr. l’uscita di novembre, n.78, p.1]. Efferata e stizzita la critica del nostro progetto, che nasce evidentemente da cause esterne al merito, arrivando a definire arredamenti in plastica gli elementi dell’allestimento: il contesto contiene in effetti alcune sedute Plia, esposte al MoMA come esempio di alto design italiano, che sono in materiale plastico: il designer è il bolognese Giancarlo Piretti, Compasso d’Oro del 1991, espressione felice di un certo modo di fare progetto legato al territorio, in cui anche il maestro Morandi traeva la sua linfa espressiva. Dalla lettura di tale descrizione si desume un’esagerazione iperbolica e incomprensibile a chiunque, se non nella logica del semplicistico approccio dell’articolista all’innovazione come variazione dell’esistente e non come capacità di affrontare tramite il progetto problemi complessi e trasversali, da questioni normative e gestioni politiche oltre al progetto restaurativo. Quando siamo stati incaricati di sviluppare il progetto di Casa Morandi è evidente che si richiedeva un’interpretazione di un contesto e non una ripresa anastatica della situazione esistente peraltro da tempo rimossa. La pianta originaria, che nel frattempo era stata completamente modificata, è stata recuperata riproponendo le partizioni e i volumi presenti mentre il Maestro e le sorelle vivevano nell’appartamento; l’idea madre è stata quella di mantenere quanto più possibile, secondo un criterio di restauro con tecniche scientifiche, il disegno, i materiali e i colori dell’epoca e, dove fosse stato possibile, persino la polvere. È mia opinione però che, ove la funzione cambi e si passi da una funzione abitativa a una museale, l’impianto di utilizzo di uno spazio debba essere adattato; in questo senso abbiamo agito inserendo nuove funzioni ove non era stato possibile recuperare arredi e ambiti esistenti. Alla fine la scelta del restauro delle condizioni storiche si è focalizzata nella zona dell’anticamera dove Morandi e le sorelle conservavano parte della collezione di pitture storiche di famiglia, nel camerino di conservazione degli oggetti ripresi dal maestro nelle sue opere, e nell’integrale sistemazione dello studio di lavoro, dove il maestro passava la maggior parte del suo tempo, mantenendolo esattamente com’era. Gli spazi rimanenti, pur mantenendo la conformazione strutturale originaria, assumono una funzione espositiva che aiuta a capire l’artista bolognese nelle sue peculiarità umane e personali, dalle prime immagini che lo ritraggono con la famiglia ai primissimi lavori scolastici fino al successo internazionale e quindi le fotografie, le lettere, gli attestati di stima che documentano tali rapporti. Un’introspezione nel personale realizzata da Carlo Zucchini, principale donatore di tutti i reperti e conviviale amico e studioso del maestro.
Morandi utilizzava delle scatole in cristallo per «bloccare» la luce degli oggetti che riprendeva. Per questo abbiamo utilizzato il vetro in una colorazione neutra per esporre i reperti, e le vetrature trasparenti prive di montanti per proteggere gli ambienti recuperati. Negli spazi non oggetto di restauro scientifico abbiamo utilizzato finiture derivate da una pastosità e da cromatismi di terra ocra, grigi scuri estremamente neutri, così come la luce che scompare nei soffitti con lamine tirate a filo che diventano pure superfici luminose. L’autore dell’articolo definisce poi «bolidista» il restauro, evidentemente ignorando totalmente i contenuti di questo movimento artistico culturale degli anni ottanta, e ignorando imperdonabilmente che non si può affrontare un tema come Morandi partendo dal personale. Un progetto di questa dimensione culturale, come si può bene immaginare, coinvolge molti attori; dalle autorità tecniche, il Comune di Bologna e gli assessorati competenti, la Soprintendenza, gli enti promotori come il Mambo, con i suoi responsabili, i curatori scientifici dei contenuti, gli specialisti del restauro scientifico. Questo progetto è stato, debbo dire, straordinario: lo studio di Morandi è stato profondo, ma anche faticoso. Credo che si possa immaginare la mole delle scelte fatte in comune con gli altri protagonisti, il dettaglio e la cura del progetto che si può dare a un appartamento di 180 mq, lavorandoci per tanto tempo (cinque anni dall’affidamento dell’incarico). L’articolista, prima di scrivere l’articolo su cui si pronuncia in ben undici periodi negativamente, non ci ha nemmeno interpellato per farci una domanda; evidentemente gli era già tutto chiaro.

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Last modified: 17 Luglio 2015