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Written by: Progetti

Dopo l’ideologia del quartiere modello, il pragmatismo della «Generazione Europan»

Il Gallaratese, uno degli ultimi grandi quartieri satellite della cintura milanese, appare oggi invecchiato; sono invecchiati i suoi fondamenti ideologici, già incerti al momento della sua realizzazione, i suoi abitanti, il materiale edilizio che lo compone, il modello urbano che lo sottende. Dal punto di vista dell’uso sociale dello spazio, i quartieri conformi a un modello spaziale a corte aperta, quali il Feltre e il Sant’Ambrogio, appaiono forse più convincenti di quelli basati sul modello razionalista delle stecche nel verde, quali il Gallaratese e il Gratosoglio. Le intenzioni di portare nei nuovi quartieri elementi qualitativi della città tradizionale (la «strada vitale» cara a Piero Bottoni) non sembrano state mai veramente efficaci, ignorate dalle spietate logiche dell’insediamento commerciale, alla ricerca della densità del bacino di utenza e della continuità spaziale. La «spina attrezzata» del Gallaratese è stata tardivamente realizzata nella forma di un centro commerciale dalla struttura introversa che ha ulteriormente indebolito i negozi di quartiere. La diffusione negli anni del mezzo privato ha finito per sostituire all’ideale moderno della «casa nel verde» quello più prosaico della «casa nel parcheggio» (alberato); cosa non sempre sgradita agli abitanti assillati dal dove posteggiare l’auto. La sua struttura viaria ad anello lo rende discontinuo alla città, un vasto interno non interessante se non per chi vi risiede. Troppo denso per essere suburbano, il Gallaratese non è propriamente urbano: non è abbastanza «centro» né abbastanza «periferia». E tuttavia, il paradigma astratto del «quartiere modello» si è negli anni naturalizzato. Piccoli cambiamenti, spesso empirici, hanno plasmato i suoi spazi a seguire la vita che scorre: come una scarpa nuova resa morbida dall’uso, come un’innovazione tecnica alla quale gradatamente ci adattiamo, comportamenti sociali inediti lo hanno reso «continuo» al nostro sistema di segni. Il progetto di Mab, fortunato vincitore su una delle aree – forse la più difficile delle quattro – del concorso «Abitare a Milano», s’innesta sul suo margine nord, tra l’anello viario esterno del Gallaratese e il trafficato asse che dal cimitero maggiore porta al nuovo polo fieristico di Rho-Pero. L’area, allungata in direzione est-ovest, era complessa per collocazione e condizioni di bordo. A nord la rumorosa direttrice di via Gallarate presentava il paesaggio tipico della nuova città diffusa; a sud una serie di alte stecche edilizie chiudevano come una cinta muraria l’insediamento del Gallaratese. I quattro «pezzi» del progetto di Mab si collocano proprio sull’asse dei varchi aperti tra i corpi suddetti, costruendo il rapporto tra l’«internità» del quartiere e la nuova città che si sviluppa in forma continua lungo gli assi della mobilità. Una serie di fini variazioni nella loro forma e dimensione crea una sequenza al contempo definita e aperta verso la città circostante. La combinazione di corpi alti e bassi ibrida i tipi consolidati dal repertorio razionalista (e dalle esigenze edilizie contemporanee) donando loro una decisa presenza urbana. Il nuovo insediamento può essere letto simultaneamente a varie scale: quella più generale della città guardata velocemente dal finestrino e quella particolare in forte rapporto con il suolo e gli spazi pubblici di vicinato. La forte attenzione all’economia distributiva, al taglio degli alloggi, al loro orientamento solare e alla ventilazione naturale (quasi tutti gli appartamenti sono passanti e orientati a est e a ovest) non si risolve in un puro «impilamento di cellule tipo», ma si articola in sofisticati dispositivi di controllo formale (le finestre alte e strette sovrapposte in verticale, gli schermi scorrevoli delle logge, le grandi vetrate degli atri) che donano al progetto un taglio «narrativo» senza incorrere nel repertorio di «effetti» dell’immaginario progettuale contemporaneo; la gamma cromatica del progetto (intonaco, serramenti e oscuri di alluminio si muovono nei toni del bianco e del grigio) conferma questo desiderio di austerità. Ma il vero «pezzo forte» dell’intervento, che lega gli edifici tra loro e alla città circostante, è il disegno degli spazi aperti. La scarpata verde che sale a nord verso via Gallarate, sezionata improvvisamente da un muro di cemento a vista e acciaio Cor-ten con funzione di barriera antirumore, protegge un percorso longitudinale in cemento dilavato e pietra che passa sotto gli edifici, creando una serie di giardini e spazi gioco aperti a sud verso il sole e il quartiere esistente. Il disegno riconnette le parti con grande sensibilità urbana e paesaggistica, cercando un nuovo modello di spazio collettivo aperto e tuttavia domestico. Nel progetto di Mab, la cultura contemporanea sul tema dell’urban housing (formatasi nell’ambito della «generazione Europan» di cui fanno parte Basile e Marotta) s’insedia con attenzione su un sito particolare, generando con esso inedite risonanze nello stratificato paesaggio dell’hinterland milanese. Il progetto evita con grande perizia le impopolari icone dell’edilizia «popolare» senza eluderne i temi fondativi, rispondendo con freschezza alle richieste di una maggiore qualità ambientale dell’abitare in città. Appena costruito, il progetto è già un piccolo ma significativo esempio di come si possa unire sensibilità al contesto e innovazione tipologica, destando l’attenzione di diversi «pubblici»; cosa non scontata nell’ancora marcata divisione culturale tra domanda sociale e culture progettuali.

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Last modified: 17 Luglio 2015