Visit Sponsor

Written by: Reviews

Per l’Expo un orto botanico planetario

Dopo le lunghissime polemiche sull’immobilismo dei finanziamenti, sulla governance interna, sulla sede migliore da prendere in affitto, l’Esposizione universale in programma fra poco più di cinque anni nel nostro paese potrebbe esser giunta alla svolta che l’avvicinerebbe finalmente al proprio tema, tanto importante quanto sinora sfuggente: «nutrire il pianeta, energia per la vita». L’8 settembre, a Palazzo Reale, è stato presentato il conceptual masterplan dell’area Expo: sostanzialmente confermato il milione di mq a nordovest del capoluogo, in prossimità della nuova Fiera di Rho-Pero, ma rivoluzionato il modello proposto di rapporto tra terra e tessuto urbano. Proprio per questo, insieme alle autorità – tra gli altri, l’ad di Expo 2015 Spa Lucio Stanca, il commissario del governo e sindaco Letizia Moratti, il presidente della regione Roberto Formigoni – sono intervenuti quattro dei cinque artefici del piano: Stefano Boeri, Ricky Burdett, Jacques Herzog e William McDonough; mancava solo Joan Busquets. Il punto cardine del rinnovato programma insediativo è offrire ai visitatori un’esperienza diretta del tema dell’alimentazione, qualcosa che superi la tipica logica di esposizioni basate su complicati e artificiali sistemi di rappresentazione, oltre che su grandi monumenti privi di funzione nel post-evento. Il vero monumento di Milano, sostengono i progettisti, sarà un inedito paesaggio in cui forma e sostanza siano unite da un’idea di leggerezza e dalla declinazione della sostenibilità ambientale nelle sue varie sfumature. Il sito espositivo avrà due vie perpendicolari (con un «decumano» di 1.400 m parallelo al Sempione), che s’incontreranno in una piazza centrale, «tavola», simbolo della convivialità, che dicono rifarsi addirittura al Cenacolo. La scelta di mirare a una flessibilità totale cancella i normali padiglioni: al loro posto, strutture coperte da tende e circondate dall’acqua, dove verranno ospitate colture e prodotti agroalimentari; ognuno dei 120 paesi avrà a disposizione un lotto di terra da coltivare con le proprie tipicità, senza disparità dimensionali ma riproducendo, grazie a cinque serre, le zone temperate e quelle tropicali. Non dovrebbero mancare un lago, un anfiteatro, una collina generata dalla terra di scavo e un ponte di collegamento con la Fiera, rispetto alla quale l’Expo resterà però abbastanza indipendente. L’integrazione con il territorio potrebbe invece avvenire attraverso il recupero di una settantina di cascine sparse – presìdi dell’agricoltura di qualità, bed and breakfast, centri assistenziali – e grazie a una nuova isola ciclopedonale in pieno centro, dalla Triennale alla Besana.
In seguito alla presentazione è nato l’Ufficio del piano, che svilupperà in concreto le idee del masterplan. Il gruppo di lavoro è formato da cinque professionisti affiancati da una quindicina di giovani laureati in Ingegneria e Architettura: a loro l’onere e l’onore di presentare in aprile il piano al Bureau International des Expositions.
Mantenendo le linee guida, i successivi passaggi saranno i concorsi internazionali che coinvolgeranno paesi e istituzioni invitati, architetti, designer, artisti, agronomi (dall’autunno 2010 all’estate 2011), le gare d’appalto e infine le realizzazioni (dal 2011 al 2014). Il 16 ottobre è in programma il prossimo Consiglio d’amministrazione: all’ordine del giorno l’approvazione del regolamento di Expo 2015 Spa, che dovrebbe contenere anche una sorta di «codice etico» capace di prevenire eventuali conflitti d’interesse.
La filosofia di quest’orto botanico planetario che sembra poter unire, sulla carta, Carlin Petrini e Silvio Berlusconi («ha molto apprezzato, dice la Moratti, e ci ha dato preziosi consigli»), è forse meno rivoluzionaria di quanto sembri (l’Expo di Aichi 2005, «La saggezza della natura», andava già in una direzione simile), ma potrebbe essere un bel passo avanti. Occorre però definire la struttura di gestione di una macchina così complessa, e pure ragionare con grande attenzione sul modello di sviluppo proposto, sia a livello locale – dal 2016, il nuovo parco diventerà polo fondante della megalopoli MiTo? – sia a scala globale – l’eredità di quest’Expo non è fatta di edifici, ma che cosa resterà ai visitatori in termini di nuove tipologie di relazioni culturali e di modelli di crescita ecocompatibile?
Una parte dell’opposizione non particolarmente illuminata ha creduto di poter cogliere la palla al balzo sfruttando la cancellazione di grattacieli e 400.000 mq di padiglioni: «un progetto al ribasso, fortemente ridimensionato», ha affermato il segretario milanese del Pd, Ezio Casati. Subito i manager si sono affrettati a precisare: «non abbiamo variato il budget – sono parole di Stanca -, non c’è stato alcun ridimensionamento rispetto a quanto previsto in fase di candidatura». E invece, per una volta, visti i tempi, sarebbe stata proprio l’occasione per plaudere al «ridimensionamento». Come ha scritto Michele Serra su «la Repubblica» del 10 settembre, finché il cemento resterà l’unità di misura condivisa, c’è il rischio che alcune delle visioni sognate dal nuovo masterplan non riescano a veder la luce: scommesse forse troppo moderne per questa Milano, e per quest’Italia.
www.milanoexpo-2015.com

Autore

About Author

(Visited 19 times, 1 visits today)
Share
Last modified: 17 Luglio 2015