Visit Sponsor

Caterina PagliaraWritten by: Progetti

Le «tagghjate» di Fantiano, una ferita rimarginata dal recupero dei segni territoriali

Un’articolata connessione di cavità naturali e artificiali, facciate di arenaria, uliveti secolari e pini d’Aleppo: è il sito del progetto, nelle Gravine di Puglia. Habitat naturalistici ricchissimi, le gole rocciose di genesi carsica hanno favorito l’insediamento umano rupestre dal Neolitico al Medioevo. La natura calcarea del terreno spiega inoltre la presenza di cave, le «tagghjate»; fino agli anni settanta luoghi di estrazione di materiali da costruzione, oggi profonde «ferite» nel paesaggio rurale, segni abbandonati dell’antropizzazione; più di 600 cave in disuso nella sola provincia di Bari, 20 ogni 100 kmq in quella di Lecce, 13 ogni 100 kmq nell’area di Taranto (fonte: Legambiente). La distruzione di rare forme carsiche, l’abbandono dei fronti di cava in assetto verticale senza misure per evitarne il crollo, lo smaltimento abusivo di rifiuti nei siti dismessi, sono i volti di uno scempio ambientale che leggi obsolete non riescono a contrastare (la disciplina delle cave è tuttora regolata da un Regio Decreto del 1927), in assenza di un rilevamento delle aree entro un quadro regionale di valorizzazione strategica.
Stimolando l’attenzione per queste insolite «archeologie» del lavoro umano, il caso di Fantiano segna un’intelligente inversione di tendenza: dopo il riconoscimento nel 2005 del Parco Regionale della Terra delle Gravine, questa riqualificazione del patrimonio storico-ambientale, determinato nei secoli da insediamenti umani, attività estrattive e agro-pastorali, è un intervento concreto per favorire l’economia turistica. La cittadinanza locale si riappropria delle cave a fine anni novanta, con manifestazioni teatrali e concertistiche; la pubblica amministrazione si mobilita per razionalizzare gli usi del sito come contenitore di eventi, con strutture permanenti; la capacità progettuale è sostenuta dall’interesse congiunto del Comune e della Regione Puglia, e da fondi comunitari POR 2000-2006 (Puglia: Misura 2.1). Contro lo spopolamento del nucleo storico di Grottaglie (già interessato da un Piano di recupero firmato da Pierluigi Cervellati), il ripensamento delle «tagghjate» per attività ludico ricreative inaugura una nuova centralità che promuove la riscoperta identitaria.
Il teatro stabile all’aperto è l’intervento centrale. Il palcoscenico e il blocco di servizi per gli artisti si collocano sul banco tufaceo preesistente a ridosso del fronte di cava, maestosa quinta scenica. Architettura e tettonica dialogano secondo un lessico topografico i cui elementi sono «stanze» comunicanti a cielo aperto, gradinate, pareti a picco, blocchi torreggianti di arenarie. Il reimpiego di pietre del sito nei muretti a secco di contenimento, il riferimento ai macchinari di estrazione e alle rigature dei cavatori nelle lamiere in acciaio cor-ten e nei blocchi di tufo a vista del volume scenico, tessono una trama di «segni del lavoro» e del territorio, tra ruoli e tempi dell’uomo e della natura: il tempo cancella la linearità dei percorsi, il caldo torrido e il vento smussano i tagli netti delle pietre, l’uomo realizza stratigrafie nella roccia calcarenitica che il dilavamento assimila negli anni a strati geologici. La concezione «in strati» del progetto richiama la pratica estrattiva, che procede per letti di cava secondo i piani di sedimentazione. La cavea si adagia sulla depressione del terreno prima utilizzata come discarica abusiva: sfruttare i dislivelli naturali era logica antica nei villaggi rupestri (le case-grotta nascevano in continuità con i terrazzamenti coltivati a orti). I gradoni lasciati dall’estrazione sono integrati da gradonate in pietra calcarea che creano un filtro tra aree d’ingresso e di rappresentazione. Ridefiniti gli accessi e i parcheggi, consolidati i terreni della zona archeologica e della terrazza belvedere, un nuovo sistema di canalizzazione contiene l’erosione delle acque meteoriche nel Vallone Fantiano, nella pineta e nell’uliveto. In un contesto restituito alla sua originaria naturalità, il progetto è selezione di percorsi, articolati in momenti di fruizione architettonica e panoramicità, da cui si coglie l’unità di paesaggio naturale e antropizzato delle Gravine; è atto di riconoscimento di valori e potenzialità, costruzione di ciò che è strettamente necessario a perseguire una strategia.

Autore

  • Caterina Pagliara

    Architetta e giornalista pubblicista, vive e lavora in Regno Unito dove svolge attività professionale e di consulenza nel campo dell’edilizia residenziale e dello sviluppo immobiliare. Dopo la laurea, consegue un dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica presso il Politecnico di Torino. Interessata agli elementi strategici e managariali della pratica di architettura, consegue un Master of Business Administration. Ha collaborato con istituti universitari per attività di docenza, tutoraggio di workshop internazionali di progettazione architettonica e come referente di ricerca storica su progetti urbani strategici, in Italia e all’estero. Coltiva la passione per la scrittura, i viaggi, la tutela ambientale e il giornalismo d'inchiesta. Collabora con «Il Giornale dell’Architettura» e «Abitare»

    Visualizza tutti gli articoli

About Author

(Visited 89 times, 1 visits today)
Share
Last modified: 18 Luglio 2015