Occorre intervenire non solo in funzione del recupero strutturale degli edifici che costituiscono i tanti borghi disseminati in un paesaggio naturale ancora incontaminato, ma porre sul tappeto iniziative sinergiche che afferiscono a più discipline: architettura, ingegneria, geologia, urbanistica
Danni collaterali e attività geologiche del sisma
I terremoti, come noto, generano onde sismiche che oltre ad avere ripercussioni sugli edifici, possono provocare effetti sul suolo, in particolare, possono indurre frane con fronti anche molto estesi e conseguenze drastiche per i fabbricati che vi si trovano sopra. Non sono pochi i casi in cui interi centri abitati sono traslati di centinaia di metri in conseguenza di movimenti franosi generati dal terremoto. Per citare due soli esempi in ambito abruzzese, frane attivate da eventi sismici hanno interessato ben 39 siti nel terremoto della Marsica del 1915 e, nel dopoguerra, 3 siti a seguito del terremoto della valle del Velino (1961). In molti casi le frane si manifestano anche a distanza temporale dall’evento sismico; lo stesso può valere per le masse rocciose già fratturate in conseguenza delle gelate e che dopo il sisma si spaccano e rotolano a valle.
Il fenomeno della liquefazione (già manifesto nel terremoto dell’Aquila del 2009) si verifica invece laddove le formazioni sabbiose sature di acqua, portano alla perdita di portanza del terreno e gli edifici subiscono cedimenti fondali che possono generare crolli qualora differenziali, oppure a traslazioni in caso di cedimenti uniformi. Questi movimenti naturali si riflettono inevitabilmente sul territorio e sul patrimonio edilizio, implicando sollecitazioni e cinematismi che possono essere sopportati solo nel caso di strutture ben costruite.
Il patrimonio architettonico minore
Questa considerazione induce una riflessione sul patrimonio architettonico abruzzese, in particolare sull’edilizia storica di tipo diffuso, che ormai da tempo la storiografia e la coscienza di tutela considera di valenza culturale alla stregua dei singoli monumenti.
Chi scrive ha partecipato, a seguito del sisma del 2009, al rilievo danni presso il COM 2 (Centro Operativo Misto) di San Demetrio ne’ Vestini, il secondo per estensione dopo quello dell’Aquila. Dall’esame delle schede di rilievo si è confermata la preoccupazione sul degrado strutturale degli edifici che costituiscono i centri storici, costruiti quasi sempre con pessimi materiali, impiegati in murature a sacco realizzate con materiale scadente come i ciottoli di fiume; anche dove i materiali sono costituiti da pietrame più o meno squadrato, si denota l’assenza di diatoni di rafforzamento del paramento murario. Purtroppo in alcuni casi si sono anche riscontrati interventi inadeguati di miglioramento/adeguamento sismico effettuati prima del 2009: reti elettrosaldate poste in opera su una sola parete, cordoli in cemento armato di dimensioni inadeguate posti a coronamento di tamburi e pareti d’ambito di chiese, assenza di controventature dove necessarie, iniezioni di malte in quantità tali da aumentare eccessivamente la massa dell’edificio, uso di malte inidonee che nel tempo diventano incoerenti.
Situazioni di questo tipo sono diffuse nella preponderante parte dei centri abruzzesi minori.
Approccio sistematico e multidisciplinare
L’attuale sisma del centro Italia ha riaperto una ferita che potrà essere sanata solo con un approccio sistematico e multidisciplinare alla materia del recupero dell’edilizia storica, e che non attiene solo il miglioramento sismico delle fabbriche ma anche ad interventi strutturali mirati a ridurre al massimo tutte le componenti di degrado e perdita delle fabbriche antiche.
I centri montani
Il caso dei centri montani e pedemontani del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga è emblematico. I primi sopralluoghi effettuati nel settembre 2016 a Rocca Santa Maria e Valle Castellana (Te) hanno rilevato come il sisma di agosto costituisca l’ultimo degli elementi di sofferenza del costruito storico, legati in realtà a una pluralità di fattori: terremoti pregressi, frane che interessano in particolare frazioni o borghi posti in posizione di cresta, improprie ricostruzioni ed interventi di completamento, spopolamento, finanche attività colturali realizzate in modo differente dal passato che hanno accelerato i processi di smottamento del terreno; oltre a difficoltà di raggiungimento di tante zone ormai abitate solo da pochi anziani, con strade in condizioni di manutenzione pessime.
È il caso, fra i tanti, delle frazioni di Martese e Tavolero, in cui oltre al borgo, versano in condizioni di rudere ormai da tempo anche le chiese parrocchiali e i cimiteri. I due nuclei storici, insieme a quello di Serra sempre nel territorio di Rocca Santa Maria, erano stati inseriti anni fa nel “progetto borghi” promosso dall’Amministrazione provinciale di Teramo per un loro complessivo recupero finalizzato alla fruizione turistica sul modello di Santo Stefano di Sessanio (Aq). Anche a causa del sisma del 2009, nessuna delle opere avviate è stata mai conclusa.
Nella rilevante frazione di Fiume, interessata nel tempo da numerosi fenomeni erosivi a causa della prossimità del Tordino che le dà il nome, ai problemi di dissesto idrogeologico e dei terremoti si è unito quello di interventi di recupero incongrui sia sotto il profilo strutturale e materico, sia sotto quello tipologico ed architettonico. L’immagine paesaggistica che anni di opere dissonanti rispetto al costruito storico hanno restituito al borgo è quella di un insieme incoerente di fabbriche, in cui a notevoli esempi di edilizia tradizionale si affiancano edifici trasformati nelle cromie, nelle aperture e nelle coperture, e le cui precarie condizioni statiche mettono oggi a rischio anche il solo passaggio tra le vie del borgo.
Conclusioni
Si tratta quindi d’intervenire non solo in funzione del recupero strutturale degli edifici che costituiscono i tanti borghi disseminati in un paesaggio naturale ancora incontaminato, ma di porre sul tappeto iniziative sinergiche che afferiscono a più discipline – architettura, ingegneria, geologia, urbanistica – con una progettualità da riferire ad un lungo e costante corso, affinché si possa evitare la perdita definitiva di opere antropiche millenarie che hanno, almeno fino a pochi decenni fa, costituito un elemento di completa ed armoniosa integrazione con il paesaggio.
Il ruolo delle Soprintendenze
Lo sciame sismico che dall’agosto del 2016 ha minato una vastissima area del centro Italia ha riproposto l’importanza del ruolo della Soprintendenza nella valutazione dei meccanismi di danno manifesti negli edifici d’interesse culturale. La struttura organizzativa ha il suo punto apicale nella DICOMAC (Direzione Comando Centrale) che per questo sisma è insediata a Rieti; essa è in costante contatto con i COR (Centri Operativi Regionali) i quali a loro volta sono collegati con le UCCR (Unità di Crisi Regionale) presso il Segretariato Regionale dei Beni Culturali e con i Coordinatori delle Squadre di Verifica in seno alle Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio.
Le Soprintendenze hanno provveduto al primo rilievo dei danni compilando le cosiddette “schede speditive”, consistenti nella valutazione del quadro fessurativo unicamente dall’esterno degli edifici.
In una seconda fase, di concerto con il segretariato regionale, sono state costituite le squadre di verifica di II° livello composte da un funzionario architetto del MiBACT, un architetto o ingegnere della ReLUIS (Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica), un architetto o ingegnere dei Vigili del Fuoco e un responsabile dei singoli Uffici Tecnici Comunali. La squadra ha provveduto a individuare la tipologia dei danni e i cinematismi ancora in atto e a classificare gli immobili ai fini della agibilità (ad esempio: A: edificio agibile; B: edificio temporaneamente inagibile, ma agibile con provvedimenti di pronto intervento; C: edificio parzialmente inagibile; D: edificio temporaneamente inagibile da rivedere con approfondimento; E: edifico inagibile; F: edificio inagibile per rischi esterni).
In una terza fase sono stati attivati i GTS e i GTA. I primi sono Gruppi Tecnici di Supporto ai sindaci, che in base alle valutazioni riportate nelle schede precedenti indicano misure, mezzi e materiali da impiegare per mettere in sicurezza l’immobile ai fini dell’incolumità pubblica. I secondi, GTA, sono composti dalle stesse figure del GTS e delle Squadre di II° Livello a cui si aggiunge un militare del Genio. Questi gruppi, sempre ai fini della sicurezza, valutano le demolizioni totali o parziali da attuare sugli edifici.
In uno stadio più avanzato dei rilievi, il ruolo della Soprintendenza sarà più incisivo indicando le soluzioni che meglio rispondono alle esigenza di conservazione ed uso delle fabbriche.
Concluse quindi le fasi di schedatura, si procede alla messa in sicurezza degli immobili e delle aree attigue per poi passare a una ricognizione approfondita, avendo sempre a riferimento la Circolare MiBACT 26/2010 Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale allineate alle nuove Norme tecniche per le costruzioni (d.m. 14 gennaio 2008).
In diversi casi del nuovo cratere sismico e in zone ad esso limitrofe sono state già effettuate le verifiche puntuali, i cui risultati saranno utilizzati per progettare l’intervento di miglioramento sismico delle fabbriche. L’importanza della valutazione del livello di vulnerabilità simica (LV1, LV2, LV3) all’interno del futuro progetto di recupero inciderà sul funzionamento strutturale complessivo dell’edificio ai fini antisismici.
About Author
Tag
terremoto , territorio fragile
Last modified: 9 Dicembre 2016