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Daria RicchiWritten by: Reviews

Massimo Scolari celebra il (suo) disegno

Massimo Scolari celebra il (suo) disegno

Yale (Connecticut). «Massimo Scolari: the Representation of Architecture. 1967- 2012» riassume nel titolo la posizione di Massimo Scolari (1943) negli anni, ovvero come la rappresentazione dell’architettura, e nello specifico il suo disegno, sia stata oggetto e soggetto principale della disciplina almeno sin dal Rinascimento, e come sia stato al contempo strumento e parte del progetto. E in tempi di sofisticate metodologie e tecnologie digitali si prefigge, tra l’altro, di suggerire il disegno come pratica progettuale sempre attuale. La mostra, inaugurata il 6 febbraio, è strettamente legata alla biografia del suo curatore, protagonista della rassegna stessa: Massimo Scolari.
Inevitabile, nel percorso di Scolari, l’influenza di Aldo Rossi, con cui collabora dal 1969 (anno in cui si laurea) fino al 1972. Un’influenza «fatale», a partire dall’importanza del disegno, dei suoi dettagli e delle forme architettoniche archetipe. Altrettanto importante è la lezione di pittori metafisici e surrealisti, primi tra tutti Giorgio De Chirico e Alberto Savinio, nell’uso del colore e nelle ambientazioni enigmatiche. La mostra testimonia anche il legame con gli Stati Uniti, cominciato nel 1977 quando Scolari è invitato da John Hejduk come professore alla Cooper Union, divenendo testimone in quegli anni del dibattito moderno e postmoderno.
Dal 2006 Scolari insegna a Yale, nella scuola che gli dedica ora il tributo. Installata in maniera semplice ma efficace nelle sale progettate da Paul Rudolf, si compone di 57 teche, ognuna delle quali dedicata a uno specifico progetto o tema ricorrente nel lavoro dell’architetto italiano, dal 1967 ai giorni nostri, includendo disegni, acquerelli, dipinti, la maggior parte dei quali a tema urbano o architettonico, e che offrono temi ricorrenti come archeologia, città, il binomio monumentalità e macerie.
Per Scolari il disegno diventa anche strumento per rappresentare l’impossibile: come nel caso delle «architetture volanti» (Entrata alla città marittima, 1979-1980, o il Pilota del labirinto, 1978). L’oggetto volante, anche privo di pilota, che incontriamo spesso nelle sue visioni, sottende vari livelli simbolici: il sapore delle leonardesche machinae nate più per soddisfare l’immaginazione tecnologica che per essere davvero realizzate. Ma l’idea delle ali si materializzerà più avanti, nel 1991, nella grande installazione per la Biennale veneziana di architettura, realizzata in cemento. In mostra anche l’aliante in cemento realizzato per la prima celeberrima Biennale, organizzata da Paolo Portoghesi nel 1980. Se il tema nel 1980 è la «Presenza del passato», per Scolari la storia è piuttosto uno spazio atemporale che si ritrova anche nel senso di una distruzione e in quello di una rinascita (La fine della città, 1973). Un’ambiguità del resto ben rappresentata anche dallo sviluppo che avrà nella sua opera il tema dell’arca. La mostra racconta anche degli altri archetipi che hanno a lungo occupato l’immaginazione dell’architetto-artista, la Torre di Babele e le ziggurat, che hanno prodotto altri racconti visionari.
I lavori di Scolari suggeriscono un’altra annosa e sempre importante questione: il disegno di architettura ha la stessa valenza di un edificio? Questione particolarmente rilevante negli anni sessanta quando, soprattutto in Italia, il testo, il disegno e l’edificio erano tutti parte di uno stesso discorso architettonico.
Si tratta dunque di un’interessante retrospettiva che offre l’occasione per pensare al ruolo della rappresentazione non solo come metodo progettuale ma anche per ragionare su cosa si possa ancora considerare architettura.
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Autore

  • Daria Ricchi

    Laureata in architettura presso l’Università di Firenze nel 2003, sta completando un dottorato in storia e teoria dell’architettura presso l’Università di Princeton. Interessata alla riflessione sui confini tra i generi e le narrative storiche, nonchè ai diversi modi di scrivere di architettura, ha pubblicato un saggio sul ruolo della fantasia nei testi di storia: “There is no Fantasy Without Reality. Calvino’s Architectural Fictions" (NAi, 2015). Collabora con diverse riviste di architettura (Il Giornale dell’Architettura, A10, Area) e quotidiani (Casamica, il Corriere della Sera). Il suo primo libro (2005) raccontava il neo-modernismo olandese attraverso il lavoro dello studio Mecanoo, mentre il suo successivo (2007) riguarda il lavoro dello studio newyorkese Diller & Scofidio + Renfro.

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Last modified: 20 Luglio 2015