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Davide VargasWritten by: Forum

Fluctuart, se a Parigi la street art entra al museo

Fluctuart, se a Parigi la street art entra al museo

La visita al museo e centro d’arte urbana Fluctuart innesca alcune riflessioni sulle opere in rapporto agli spazi delle città

 

PARIGI. Fluctuart, piccolo museo galleggiante sulla Senna nei pressi del Pont des Invalides unico nel suo genere, è dedicato alla street art. Il progetto è dello studio Seine Design e s’inserisce nel programma di trasformare le sponde parigine del fiume in centri di cultura e arte. Una sorta di punto conclusivo del percorso di avvicinamento accompagnato dalle innumerevoli bancarelle di libri antichi, poster e altro non necessariamente ad uso turista. L’edificio si articola su tre piani, in metallo, molto trasparente e aperto alla città attraverso punti di vista che trovano la massima espressione nella terrazza panoramica. Proprio come in una nave, a scendere dalla terrazza si accede al ponte centrale destinato alle esposizioni e infine alla sottocoperta dove sono ubicati uffici e laboratori. Lo spazio espositivo vetrato su ogni lato e suddiviso da ulteriori pannelli di vetro mette in campo un gioco di riflessi, traguardi visivi e compenetrazioni, come accade a chi vada alla ricerca di graffiti, murales e stencil nelle strade della città svoltando angoli o attraversando slarghi.

C’è Banksy e, oltre il vetro appena satinato, Keith Haring, e in trasparenza il “Rubik Hendrix” di Invader; in mostra senza enfasi, unico modo per tentare di superare una contraddizione inevitabile nel “costringere” artisti che hanno come scenario la città intera e la libertà del linguaggio in uno spazio racchiuso a contatto con il consumismo del bookshop e del bar. Questo punto critico, insieme alla piccola dimensione, aprono al tema con una connotazione più generale che è la parte più interessante che l’esperienza della visita mette in moto.

Parigi è riconosciuta come una delle capitali dell’arte urbana, ma Napoli e l’Italia offrono un campionario di grande interesse. I temi delle opere da un lato attingono al terreno proprio della street art, dalla denuncia di un disagio sociale alla protesta urbana irriverente, alla riaffermazione di una dignità del soggetto, e dall’altro lato attingono alle iconografie più radicate nella storia della città e del territorio. Ernest Pignon-Ernest, presente nel Fluctuart come pioniere in Francia della street art, ingaggia una perenne sfida di conoscenza con la città dove decide di operare immergendosi in essa e nelle sue leggende fino alle fibre più nascoste. I luoghi che gli artisti individuano sono generalmente simbolici per il degrado, la disumanizzazione e le alte densità abitative che ne accrescono l’impatto.

A Napoli l’argentino Francisco Bosoletti realizza la sua “Iside”, in una strada degli intasatissimi e difficili Quartieri Spagnoli intitolata a un giovane rivoluzionario impiccato dal governo borbonico nel 1794. In zona Ostiense a Roma, Iena Cruz ha realizzato un murales di 1.000 mq utilizzando una pittura particolare che purifica l’aria come un bosco di 30 alberi, il gigantesco airone tricolore rappresentato in lotta contro la propria estinzione pesca inconsapevole in un mare inquinato sotto una pioggia di petrolio. A Firenze, Clet interviene con piccoli tratti sui segnali stradali trasformando i divieti in immagini ironiche e spiazzanti.

Nelle zone di conflitto del mondo dalla, Cisgiordania al Sudan alle favelas del Brasile, i murales sono voce di pace e cancellano ogni ipotesi di limite geografico alla possibile messa in scena della libertà dell’arte. Alessandro Mendini nel 2003 inserisce il lavoro di Pao nel catalogo Quali cose siamo del III Triennale Design Museum.

Se l’architettura stabilisce un rapporto con la street art, la città può assumere l’opera degli artisti di strada come una risorsa spaziale piuttosto che non un problema. Nei centri antichi le meridiane o le edicole votive o un ceppo di colonna segnano un angolo urbano e hanno funzione spaziale. Ancora a Napoli il volto bruno e operaio di San Gennaro dipinto da Jorit Agoch su una facciata bonificata dalle infiltrazioni e dal reticolo di cavi rivolge verso l’alto occhi che emanano un guizzo e segna l’ingresso al quartiere di Forcella.

In una città tutto è comunicazione. Ma è l’intervento di modificazione che porta al linguaggio. La street art trasforma il luogo da sede fisica dell’opera a luogo con una riconoscibilità fisica, sociale e politica.

Autore

  • Davide Vargas

    Nato a ferragosto '56 e laureato a Napoli nel 1980 a ridosso del terremoto. Sono stato definito un letterato-architetto. I miei progetti sono incastonati in questa mia terra che “offre spunti di dolore e amore”. Il Municipio di San Prisco mi ha accompagnato per dodici anni. La Casa per studenti e la Casa a righe ad Aversa raccontano le contraddizioni del luogo. L’Azienda Vinicola Sclavia e la Casa F a Liberi (CE) si confrontano con il paesaggio. L’Opificio Nardi (CE) vuole essere un segnale territoriale. Le architetture sono raccolte in “Opere e Omissioni_Works and Omissions”, letteraVentidue, 2014. Poi scrivo. Nel 2009 esce “Racconti di qui” e nel 2012 “Racconti di architettura”. Nello stesso anno “Città della poesia”. Nel 2017 “L’altra città [guida sentimentale di Napoli]” chiude la trilogia dei luoghi parlanti. Dal 2017 conduco una rubrica su "la Repubblica Napoli" dal titolo "Narrazioni" dove ogni settimana racconto e disegno un pezzo di città

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Last modified: 11 Ottobre 2019